L’amministratore di sostegno

Legge 9 gennaio 2004, n. 6

“Introduzione nel libro primo, titolo XII, del codice civile del capo I, relativo all’istituzione dell’amministrazione di sostegno e modifica degli articoli 388, 414, 417, 418, 424, 426, 427 e 429 del codice civile in materia di interdizione e di inabilitazione, nonché relative norme di attuazione, di coordinamento e finali”

(Pubblicata nella Gazzezza Ufficiale 19 gennaio 2004, n. 14)

Questa legge ha lo scopo di tutelare,  con la minore limitazione possibile della capacità di agire,  le persone prive in tutto o in parte dell’autonomia  nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana  mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente

Capo I
FINALITÀ DELLA LEGGE

Art. 1.

1. La presente legge ha la finalità di tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente.

Capo II
MODIFICHE AL CODICE CIVILE

Art. 2.

1. La rubrica del titolo XII del libro primo del codice civile è sostituita dalla seguente: «Delle misure di protezione delle persone prive in tutto od in parte di autonomia».

Art. 3.

1. Nel titolo XII del libro primo del codice civile, è premesso il seguente capo:

«Capo I. – Dell’amministrazione di sostegno.Art. 404. – (Amministrazione di sostegno). – La persona che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, può essere assistita da un amministratore di sostegno, nominato dal giudice tutelare del luogo in cui questa ha la residenza o il domicilio
Art. 405. – (Decreto di nomina dell’amministratore di sostegno. Durata dell’incarico e relativa pubblicità). – Il giudice tutelare provvede entro sessanta giorni dalla data di presentazione della richiesta alla nomina dell’amministratore di sostegno con decreto motivato immediatamente esecutivo, su ricorso di uno dei soggetti indicati nell’articolo 406.
Il decreto che riguarda un minore non emancipato può essere emesso solo nell’ultimo anno della sua minore età e diventa esecutivo a decorrere dal momento in cui la maggiore età è raggiunta.
Se l’interessato è un interdetto o un inabilitato, il decreto è esecutivo dalla pubblicazione della sentenza di revoca dell’interdizione o dell’inabilitazione.
Qualora ne sussista la necessità, il giudice tutelare adotta anche d’ufficio i provvedimenti urgenti per la cura della persona interessata e per la conservazione e l’amministrazione del suo patrimonio. Può procedere alla nomina di un amministratore di sostegno provvisorio indicando gli atti che è autorizzato a compiere.
Il decreto di nomina dell’amministratore di sostegno deve contenere l’indicazione:
1) delle generalità della persona beneficiaria e dell’amministratore di sostegno;
2) della durata dell’incarico, che può essere anche a tempo indeterminato;
3) dell’oggetto dell’incarico e degli atti che l’amministratore di sostegno ha il potere di compiere in nome e per conto del beneficiario;
4) degli atti che il beneficiario può compiere solo con l’assistenza dell’amministratore di sostegno;
5) dei limiti, anche periodici, delle spese che l’amministratore di sostegno può sostenere con utilizzo delle somme di cui il beneficiario ha o può avere la disponibilità;
6) della periodicità con cui l’amministratore di sostegno deve riferire al giudice circa l’attività svolta e le condizioni di vita personale e sociale del beneficiario.
Se la durata dell’incarico è a tempo determinato, il giudice tutelare può prorogarlo con decreto motivato pronunciato anche d’ufficio prima della scadenza del termine.
Il decreto di apertura dell’amministrazione di sostegno, il decreto di chiusura ed ogni altro provvedimento assunto dal giudice tutelare nel corso dell’amministrazione di sostegno devono essere immediatamente annotati a cura del cancelliere nell’apposito registro.
Il decreto di apertura dell’amministrazione di sostegno e il decreto di chiusura devono essere comunicati, entro dieci giorni, all’ufficiale dello stato civile per le annotazioni in margine all’atto di nascita del beneficiario. Se la durata dell’incarico è a tempo determinato, le annotazioni devono essere cancellate alla scadenza del termine indicato nel decreto di apertura o in quello eventuale di proroga.
Art. 406. – (Soggetti). – Il ricorso per l’istituzione dell’amministrazione di sostegno può essere proposto dallo stesso soggetto beneficiario, anche se minore, interdetto o inabilitato, ovvero da uno dei soggetti indicati nell’articolo 417.
Se il ricorso concerne persona interdetta o inabilitata il medesimo è presentato congiuntamente all’istanza di revoca dell’interdizione o dell’inabilitazione davanti al giudice competente per quest’ultima.
I responsabili dei servizi sanitari e sociali direttamente impegnati nella cura e assistenza della persona, ove a conoscenza di fatti tali da rendere opportuna l’apertura del procedimento di amministrazione di sostegno, sono tenuti a proporre al giudice tutelare il ricorso di cui all’articolo 407 o a fornirne comunque notizia al pubblico ministero.
Art. 407. – (Procedimento). – Il ricorso per l’istituzione dell’amministrazione di sostegno deve indicare le generalità del beneficiario, la sua dimora abituale, le ragioni per cui si richiede la nomina dell’amministratore di sostegno, il nominativo ed il domicilio, se conosciuti dal ricorrente, del coniuge, dei discendenti, degli ascendenti, dei fratelli e dei conviventi del beneficiario.
Il giudice tutelare deve sentire personalmente la persona cui il procedimento si riferisce recandosi, ove occorra, nel luogo in cui questa si trova e deve tener conto, compatibilmente con gli interessi e le esigenze di protezione della persona, dei bisogni e delle richieste di questa.
Il giudice tutelare provvede, assunte le necessarie informazioni e sentiti i soggetti di cui all’articolo 406; in caso di mancata comparizione provvede comunque sul ricorso. Dispone altresì, anche d’ufficio, gli accertamenti di natura medica e tutti gli altri mezzi istruttori utili ai fini della decisione.
Il giudice tutelare può, in ogni tempo, modificare o integrare, anche d’ufficio, le decisioni assunte con il decreto di nomina dell’amministratore di sostegno.
In ogni caso, nel procedimento di nomina dell’amministratore di sostegno interviene il pubblico ministero.
Art. 408. – (Scelta dell’amministratore di sostegno). – La scelta dell’amministratore di sostegno avviene con esclusivo riguardo alla cura ed agli interessi della persona del beneficiario. L’amministratore di sostegno può essere designato dallo stesso interessato, in previsione della propria eventuale futura incapacità, mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata. In mancanza, ovvero in presenza di gravi motivi, il giudice tutelare può designare con decreto motivato un amministratore di sostegno diverso. Nella scelta, il giudice tutelare preferisce, ove possibile, il coniuge che non sia separato legalmente, la persona stabilmente convivente, il padre, la madre, il figlio o il fratello o la sorella, il parente entro il quarto grado ovvero il soggetto designato dal genitore superstite con testamento, atto pubblico o scrittura privata autenticata.
Le designazioni di cui al primo comma possono essere revocate dall’autore con le stesse forme.
Non possono ricoprire le funzioni di amministratore di sostegno gli operatori dei servizi pubblici o privati che hanno in cura o in carico il beneficiario.
Il giudice tutelare, quando ne ravvisa l’opportunità, e nel caso di designazione dell’interessato quando ricorrano gravi motivi, può chiamare all’incarico di amministratore di sostegno anche altra persona idonea, ovvero uno dei soggetti di cui al titolo II al cui legale rappresentante ovvero alla persona che questi ha facoltà di delegare con atto depositato presso l’ufficio del giudice tutelare, competono tutti i doveri e tutte le facoltà previste nel presente capo.
Art. 409. – (Effetti dell’amministrazione di sostegno). – Il beneficiario conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria dell’amministratore di sostegno.
Il beneficiario dell’amministrazione di sostegno può in ogni caso compiere gli atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana.
Art. 410. – (Doveri dell’amministratore di sostegno). – Nello svolgimento dei suoi compiti l’amministratore di sostegno deve tener conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario.
L’amministratore di sostegno deve tempestivamente informare il beneficiario circa gli atti da compiere nonchè il giudice tutelare in caso di dissenso con il beneficiario stesso. In caso di contrasto, di scelte o di atti dannosi ovvero di negligenza nel perseguire l’interesse o nel soddisfare i bisogni o le richieste del beneficiario, questi, il pubblico ministero o gli altri soggetti di cui all’articolo 406 possono ricorrere al giudice tutelare, che adotta con decreto motivato gli opportuni provvedimenti.
L’amministratore di sostegno non è tenuto a continuare nello svolgimento dei suoi compiti oltre dieci anni, ad eccezione dei casi in cui tale incarico è rivestito dal coniuge, dalla persona stabilmente convivente, dagli ascendenti o dai discendenti.
Art. 411. – (Norme applicabili all’amministrazione di sostegno). – Si applicano all’amministratore di sostegno, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli articoli da 349 a 353 e da 374 a 388. I provvedimenti di cui agli articoli 375 e 376 sono emessi dal giudice tutelare.
All’amministratore di sostegno si applicano altresì, in quanto compatibili, le disposizioni degli articoli 596, 599 e 779.
Sono in ogni caso valide le disposizioni testamentarie e le convenzioni in favore dell’amministratore di sostegno che sia parente entro il quarto grado del beneficiario, ovvero che sia coniuge o persona che sia stata chiamata alla funzione in quanto con lui stabilmente convivente.
Il giudice tutelare, nel provvedimento con il quale nomina l’amministratore di sostegno, o successivamente, può disporre che determinati effetti, limitazioni o decadenze, previsti da disposizioni di legge per l’interdetto o l’inabilitato, si estendano al beneficiario dell’amministrazione di sostegno, avuto riguardo all’interesse del medesimo ed a quello tutelato dalle predette disposizioni. Il provvedimento è assunto con decreto motivato a seguito di ricorso che può essere presentato anche dal beneficiario direttamente.
Art. 412. – (Atti compiuti dal beneficiario o dall’amministratore di sostegno in violazione di norme di legge o delle disposizioni del giudice). – Gli atti compiuti dall’amministratore di sostegno in violazione di disposizioni di legge, od in eccesso rispetto all’oggetto dell’incarico o ai poteri conferitigli dal giudice, possono essere annullati su istanza dell’amministratore di sostegno, del pubblico ministero, del beneficiario o dei suoi eredi ed aventi causa.
Possono essere parimenti annullati su istanza dell’amministratore di sostegno, del beneficiario, o dei suoi eredi ed aventi causa, gli atti compiuti personalmente dal beneficiario in violazione delle disposizioni di legge o di quelle contenute nel decreto che istituisce l’amministrazione di sostegno.
Le azioni relative si prescrivono nel termine di cinque anni. Il termine decorre dal momento in cui è cessato lo stato di sottoposizione all’amministrazione di sostegno.
Art. 413. – (Revoca dell’amministrazione di sostegno). – Quando il beneficiario, l’amministratore di sostegno, il pubblico ministero o taluno dei soggetti di cui all’articolo 406, ritengono che si siano determinati i presupposti per la cessazione dell’amministrazione di sostegno, o per la sostituzione dell’amministratore, rivolgono istanza motivata al giudice tutelare.
L’istanza è comunicata al beneficiario ed all’amministratore di sostegno.
Il giudice tutelare provvede con decreto motivato, acquisite le necessarie informazioni e disposti gli opportuni mezzi istruttori.
Il giudice tutelare provvede altresì, anche d’ufficio, alla dichiarazione di cessazione dell’amministrazione di sostegno quando questa si sia rivelata inidonea a realizzare la piena tutela del beneficiario. In tale ipotesi, se ritiene che si debba promuovere giudizio di interdizione o di inabilitazione, ne informa il pubblico ministero, affinché vi provveda. In questo caso l’amministrazione di sostegno cessa con la nomina del tutore o del curatore provvisorio ai sensi dell’articolo 419, ovvero con la dichiarazione di interdizione o di inabilitazione».
2. All’articolo 388 del codice civile le parole: «prima dell’approvazione» sono sostituite dalle seguenti: «prima che sia decorso un anno dall’approvazione».
3. Dall’applicazione della disposizione di cui all’articolo 408 del codice civile, introdotto dal comma 1, non possono derivare nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato.

Art. 4.

1. Nel titolo XII del libro primo del codice civile, prima dell’articolo 414 sono inserite le seguenti parole:
«Capo II. – Della interdizione, della inabilitazione e della incapacità naturale».
2. L’articolo 414 del codice civile è sostituito dal seguente:
«Art. 414. – (Persone che possono essere interdette). – Il maggiore di età e il minore emancipato, i quali si trovano in condizioni di abituale infermità di mente che li rende incapaci di provvedere ai propri interessi, sono interdetti quando ciò è necessario per assicurare la loro adeguata protezione».

Art. 5.

1. Nel primo comma dell’articolo 417 del codice civile, le parole: «possono essere promosse dal coniuge» sono sostituite dalle seguenti: «possono essere promosse dalle persone indicate negli articoli 414 e 415, dal coniuge, dalla persona stabilmente convivente».

Art. 6.

1. All’articolo 418 del codice civile è aggiunto, in fine, il seguente comma:
«Se nel corso del giudizio di interdizione o di inabilitazione appare opportuno applicare l’amministrazione di sostegno, il giudice, d’ufficio o ad istanza di parte, dispone la trasmissione del procedimento al giudice tutelare. In tal caso il giudice competente per l’interdizione o per l’inabilitazione può adottare i provvedimenti urgenti di cui al quarto comma dell’articolo 405».

Art. 7.

1. Il terzo comma dell’articolo 424 del codice civile è sostituito dal seguente:
«Nella scelta del tutore dell’interdetto e del curatore dell’inabilitato il giudice tutelare individua di preferenza la persona più idonea all’incarico tra i soggetti, e con i criteri, indicati nell’articolo 408».

Art. 8.

1. All’articolo 426 del codice civile, al primo comma, dopo le parole: «del coniuge,» sono inserite le altre: «della persona stabilmente convivente,».

Art. 9.

1. All’articolo 427 del codice civile, al primo comma è premesso il seguente:
«Nella sentenza che pronuncia l’interdizione o l’inabilitazione, o in successivi provvedimenti dell’autorità giudiziaria, può stabilirsi che taluni atti di ordinaria amministrazione possano essere compiuti dall’interdetto senza l’intervento ovvero con l’assistenza del tutore, o che taluni atti eccedenti l’ordinaria amministrazione possano essere compiuti dall’inabilitato senza l’assistenza del curatore».

Art. 10.

1. All’articolo 429 del codice civile è aggiunto, in fine, il seguente comma:
«Se nel corso del giudizio per la revoca dell’interdizione o dell’inabilitazione appare opportuno che, successivamente alla revoca, il soggetto sia assistito dall’amministratore di sostegno, il tribunale, d’ufficio o ad istanza di parte, dispone la trasmissione degli atti al giudice tutelare».

Art. 11.

1. L’articolo 39 delle disposizioni per l’attuazione del codice civile e disposizioni transitorie, approvate con regio decreto 30 marzo 1942, n.û318, è abrogato.

Capo III
NORME DI ATTUAZIONE,
DI COORDINAMENTO E FINALI

Art. 12.

1. L’articolo 44 delle disposizioni per l’attuazione del codice civile e disposizioni transitorie, approvate con regio decreto 30 marzo 1942, n. 318, è sostituito dal seguente:
«Art. 44. Il giudice tutelare può convocare in qualunque momento il tutore, il protutore, il curatore e l’amministratore di sostegno allo scopo di chiedere informazioni, chiarimenti e notizie sulla gestione della tutela, della curatela o dell’amministrazione di sostegno, e di dare istruzioni inerenti agli interessi morali e patrimoniali del minore o del beneficiario».

Art. 13.

1. Dopo l’articolo 46 delle disposizioni per l’attuazione del codice civile e disposizioni transitorie, approvate con regio decreto 30 marzo 1942, n. 318, è inserito il seguente:
«Art. 46-bis. Gli atti e i provvedimenti relativi ai procedimenti previsti dal titolo XII del libro primo del codice non sono soggetti all’obbligo di registrazione e sono esenti dal contributo unificato previsto dall’articolo 9 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115».
2. All’onere derivante dall’attuazione del presente articolo, valutato in euro 4.244.970 a decorrere dall’anno 2003, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2003-2005, nell’ambito dell’unità previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2003, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero della giustizia.
3. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

Art. 14.

1. L’articolo 47 delle disposizioni per l’attuazione del codice civile e disposizioni transitorie, approvate con regio decreto 30 marzo 1942, n. 318, è sostituito dal seguente:
«Art. 47. Presso l’ufficio del giudice tutelare sono tenuti un registro delle tutele dei minori e degli interdetti, un registro delle curatele dei minori emancipati e degli inabilitati ed un registro delle amministrazioni di sostegno».

Art. 15.

1. Dopo l’articolo 49 delle disposizioni per l’attuazione del codice civile e disposizioni transitorie, approvate con regio decreto 30 marzo 1942, n. 318, è inserito il seguente:
«Art. 49-bis. Nel registro delle amministrazioni di sostegno, in un capitolo speciale per ciascuna di esse, si devono annotare a cura del cancelliere:
1) la data e gli estremi essenziali del provvedimento che dispone l’amministrazione di sostegno, e di ogni altro provvedimento assunto dal giudice nel corso della stessa, compresi quelli emanati in via d’urgenza ai sensi dell’articolo 405 del codice;
2) le complete generalità della persona beneficiaria;
3) le complete generalità dell’amministratore di sostegno o del legale rappresentante del soggetto che svolge la relativa funzione, quando non si tratta di persona fisica;
4) la data e gli estremi essenziali del provvedimento che dispone la revoca o la chiusura dell’amministrazione di sostegno».

Art. 16.

1. All’articolo 51 del codice di procedura civile, al primo comma, al numero 5, dopo la parola: «curatore» sono inserite le seguenti: «, amministratore di sostegno».

Art. 17.

1. Al capo II del titolo II del libro quarto del codice di procedura civile, nella rubrica, le parole: «e dell’inabilitazione» sono sostituite dalle seguenti: «, dell’inabilitazione e dell’amministrazione di sostegno».

2. Dopo l’articolo 720 del codice di procedura civile è inserito il seguente:
«Art. 720-bis. – (Norme applicabili ai procedimenti in materia di amministrazione di sostegno). – Ai procedimenti in materia di amministrazione di sostegno si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni degli articoli 712, 713, 716, 719 e 720.
Contro il decreto del giudice tutelare è ammesso reclamo alla corte d’appello a norma dell’articolo 739.
Contro il decreto della corte d’appello pronunciato ai sensi del secondo comma può essere proposto ricorso per cassazione».

Art. 18.

1. All’articolo 3, comma 1, lettera p), del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre 2002, n.û313, sono aggiunte, in fine, le parole: «, nonchè i decreti che istituiscono, modificano o revocano l’amministrazione di sostegno».
2. All’articolo 24, comma 1, del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre 2002, n.û313, la lettera m) è sostituita dalla seguente:
«m) ai provvedimenti di interdizione, di inabilitazione e relativi all’amministrazione di sostegno, quando esse sono state revocate».
3. All’articolo 25, comma 1, lettera m), del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre 2002, n.û313, sono aggiunte, in fine, le parole: «, nonchè ai decreti che istituiscono, modificano o revocano l’amministrazione di sostegno».
4. All’articolo 26, comma 1, lettera a), del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre 2002, n.û313, sono aggiunte, in fine, le parole: «ai decreti che istituiscono o modificano l’amministrazione di sostegno, salvo che siano stati revocati;».

Art. 19.


1. Nell’articolo 92, primo comma, dell’ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, dopo le parole: «procedimenti cautelari,» sono inserite le seguenti: «ai procedimenti per l’adozione di provvedimenti in materia di amministrazione di sostegno, di interdizione, di inabilitazione, ai procedimenti».

Art. 20.

1. La presente legge entra in vigore dopo sessanta giorni dalla data della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale

L’individuazione dell’alunno disabile

In merito al problema dell’individuazione dell’alunno disabile abbiamo tratto una sintesi  di quanto è pubblicato sul sito ufficiale del MIUR.

A 5 anni dalla pubblicazione del DPCM 185/06 tuttavia non vi sono state indicazioni univoche sull’organismo collegiale che avrebbe dovuto individuare e certificare il disabile offrendogli risposte integrate ed unitarie.

La soluzione adottata in alcune regioni è che gli organismi territoriali (UONPI, unità operative di neuropsichiatria infantile) pubblici o accreditati  effettuino la diagnosi funzionale e  le commissioni medico-legali definiscano se vi siano i presupposti per il riconoscimento dell’invalidità civile.

In altre i percorsi sono paralleli e possono  non sovrapporsi mai.

Alunni con disabilità

Il diritto allo studio degli alunni con disabilità si realizza, secondo la normativa vigente, attraverso l’integrazione scolastica, che prevede l’obbligo dello Stato di predisporre adeguate misure di sostegno, alle quali concorrono a livello territoriale, con proprie competenze, anche gli Enti Locali e il Servizio Sanitario Nazionale. La comunità scolastica e i servizi locali hanno pertanto il compito di “prendere in carico” e di occuparsi della cura educativa e della crescita complessiva della persona con disabilità, fin dai primi anni di vita. Tale impegno collettivo ha una meta ben precisa: predisporre le condizioni per la piena partecipazione della persona con disabilità alla vita sociale, eliminando tutti i possibili ostacoli e le barriere, fisiche e culturali, che possono frapporsi fra la partecipazione sociale e la vita concreta delle persone con disabilità.
Le Legge 104/92 riconosce e tutela la partecipazione alla vita sociale delle persone con disabilità, in particolare nei luoghi per essa fondamentali: la scuola, durante l’infanzia e l’adolescenza (artt. 12, 13, 14, 15, 16 e 17) e il lavoro, nell’età adulta (artt. 18, 19, 20, 21 e 22). Una ricostruzione dell’iter legislativo riguardante l’integrazione, e dei relativi principi, è presente nelle Linee guida per l’integrazione degli alunni con disabilità, diramate con nota del 4 agosto 2009.
Il MIUR mette in atto varie misure di accompagnamento per favorire l’integrazione: docenti di sostegno, finanziamento di progetti e attività per l’integrazione, iniziative di formazione del personale docente di sostegno e curriculare nonché del personale amministrativo, tecnico e ausiliare. Organi consultivo e propositivo, a livello nazionale, in materia di integrazione scolastica è l’ Osservatorio per l’integrazione delle persone con disabilità.
A livello territoriale altri organismi hanno il compito di proporre iniziative per realizzare e migliorare il processo di integrazione: i GLIP (“Gruppi di Lavoro Interistituzionali Provinciali”, formati da rappresentanti degli Enti Locali, delle ASL e delle Associazioni dei disabili) e i GLH (“Gruppi di lavoro per l’integrazione degli handicappati”, formati dal dirigente della scuola, dai docenti interessati, dai genitori e dal personale sanitario). Il compito del GLH è particolarmente significativo, in quanto ha la finalità di mettere a punto, tra l’altro, il Piano Educativo Individualizzato, che determina il percorso formativo dell’alunno con disabilità e garantisce un intervento adeguato allo sviluppo delle sue potenzialità.

Certificazione della disabilità

La certificazione di disabilità è il presupposto per l’attribuzione all’alunno con disabilità delle misure di sostegno e di integrazione. Il Decreto Presidente del Consiglio dei Ministri – 23/02/2006 n. 185 “Regolamento recante modalità e criteri per l’individuazione dell’alunno come soggetto in situazione di handicap, ai sensi dell’articolo 35, comma 7, della legge 27 dicembre 2002, n. 289”, all’art. 1 individua per la certificazione dell’alunno con disabilità un “organismo collegiale” appartenente al Servizio Sanitario Nazionale. Da sottolineare inoltre l’art. 2 del DPCM in questione, ove si prescrive che le diagnosi funzionali siano realizzate secondo le classificazioni internazionali dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) che, tra l’altro, devono indicare l’eventuale particolare gravità della patologia.

Istruzione e formazione degli alunni con disabilità

La L. 104/92 individua la Diagnosi Funzione (DF), il Profilo Dinamico Funzionale (PDF) e il Piano Educativo Individualizzato (PEI) come strumenti necessari alla effettiva integrazione degli alunni con disabilità. Come precisato nel DPR 24 febbraio 1994, tali documenti, redatti in collaborazione con il Servizio Sanitario Nazionale, hanno lo scopo di riscontrare le potenzialità funzionali dell’alunno con disabilità e sulla base di queste costruire adeguati percorsi di autonomia, di socializzazione e di apprendimento.
L’individualizzazione del percorso educativo previsto dal PEI per l’alunno con disabilità può incidere, a seconda della tipologia di disabilità e della sua gravità, sui metodi di valutazione e sul valore legale del titolo di studio conseguito, in particolare, al termine del Secondo Ciclo di istruzione. L’articolo 9 del Regolamento sulla valutazione degli alunni (dpr 122/2009) prevede che, in sede di esame conclusivo del primo ciclo di istruzione le prove sono adattate in relazione agli obiettivi del PEI. Le prove differenziate hanno valore equivalente a quelle ordinarie ai fini del superamento dell’esame e del conseguimento del diploma di licenza. Nel caso in cui gli obiettivi previsti dal PEI non siano riconducibili ai programmi ministeriali, il percorso formativo consente l’acquisizione di un attestato di credito formativo valido anche per l’accesso ai percorsi integrati di istruzione e formazione (art. 9 dpr 122/2009).

Organico dei docenti per le attività di sostegno

L’alunno con disabilità è assegnato alla classe comune in cui si realizza il processo di integrazione. Pertanto la presa in carico e la responsabilità educativa dell’alunno con disabilità spettano a tutto il Consiglio di Classe, di cui fa parte il docente per le attività di sostegno. Non a caso, il DPR 970/1975 con cui è stata istituita giuridicamente tale figura professionale (poi meglio caratterizzata nella L. 517/77) lo definisce un insegnante “specialista”, dunque fornito di formazione specifica, che, insieme ai docenti curricolari, sulla base del Piano Educativo Individualizzato, definisce le modalità di integrazione dei singoli alunni con disabilità, partecipandovi attivamente. L’insegnante per le attività di sostegno viene richiesto all’Ufficio Scolastico Regionale dal dirigente scolastico sulla base delle iscrizioni degli alunni con disabilità; la quantificazione delle ore per ogni alunno viene individuata tenendo conto della Diagnosi Funzionale, del Profilo Dinamico Funzionale e del conseguente Piano Educativo Individualizzato, di cui alla Legge 104/92, e dei vincoli di legge vigenti.
L’art. 40 della Legge 449/1997 prevedeva l’attivazione di un posto in organico per il sostegno ogni 138 alunni frequentanti le scuole pubbliche della Provincia. La L. 296/2006 e la L. 244/2007 (Finanziaria 2008) hanno abrogato il predetto criterio per la formazione dell’organico di diritto dei posti di sostegno, individuando un nuovo parametro che, a livello nazionale, non può superare il rapporto medio di un insegnante ogni due alunni con disabilità.
L’articolo 2 del dpr 122/2009, Regolamento per il coordinamento delle norme sulla valutazione degli alunni, prevede che i docenti di sostegno, contitolari della classe, partecipino alla valutazione di tutti gli alunni. Inoltre, qualora un alunno con disabilità sia affidato a più docenti del sostegno, essi si esprimono con un unico voto.

Il Progetto Individualizzato: una sentenza da ragione al disabile

La 328/00 “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali” è uno strumento normativo fondamentale per i disabili i. Infatti, consente di avere un definito progetto sia rispetto alle esigenze personali negli ambiti familiari, sociali e di lavoro che riguardo ai servizi a cui deve provvedere il Comune (aiuto domestico, assistenza domiciliare, servizio di trasporto nonché i servizi di socializzazione quali Centri Diurni, etc) e quelli che devono essere garantiti dal sistema sanitario come i servizi terapeutico-riabilitativi (logopedia, fisioterapia, attività in centri di riabilitazione, etc). In tal modo, la persona con disabilità e la sua famiglia, possono essere a conoscenza del programma di servizi a loro disposizione, nonché dell’organizzazione e dell’interazione tra essi, anziché trovarsi costretti ad organizzare quotidianamente, e spesso con grande fatica, le proprie necessità di vita (e, nella realtà, trovandosi abbandonati a domicilio). 

Nel caso affrontato dal TAR siciliano  una persona con disabilità ha richiesto al Sindaco del Comune di Residenza la stesura del proprio progetto individuale, tramite apposite istanze, passando anche dalla diffida da parte del proprio legale di fiducia, le quali non hanno ricevuto alcuna risposta. E’ stata, quindi, costretta a chiamare in giudizio l’ente locale (dopo circa 4 mesi dalle richieste) per chiedere la verifica della legittimità del comportamento della pubblica amministrazione e con il fine di tutelare il riconoscimento di un proprio fondamentale diritto.

Il Tribunale amministrativo regionale di Catania ha così riconosciuto l’illegittimità del “silenzio inadempimento” posto in essere dall’ente locale e dal distretto socio-sanitario alle diverse richieste avanzate dalla persona con disabilità di stesura del progetto individualizzato ed ordinato al Comune stesso di provvedere, entro 30 giorni dalla notifica della sentenza ad accogliere tale istanza.

Il sistema normativo previsto dall’art. 14 della legge 328/00 e, più in generale dall’intera disposizione legislativa nazionale per le persone con disabilità, prevede che il fulcro principale del sostegno delle persone con disabilità e del loro raggiungimento di una vita “indipendente”, sia proprio la stesura dei progetti individualizzati di vita. Esso determina, tra l’altro, quella necessaria concertazione voluta dalla l. 328/00 tra persona con disabilità, famiglia, enti locali, enti sanitari e terzo settore e comporta  la “presa in carico globale della persona con disabilità” e della sua famiglia da parte delle istituzioni competenti.

Se questo è l’orizzonte normativo di riferimento la realtà, purtroppo, è ben diversa. Le famiglie,  costrette ad una quotidiana solitudine, devono ricercare incessantemente i modi per superare le situazioni di bisogno o le necessità di assistenza socio-sanitaria. Infatti ciò a cui assistiamo è  una politica disgregata di accesso ai servizi sanitari (partecipazione a singoli bandi o necessità di particolari requisiti), di ricerca di centri di riabilitazione o di altre tipologie di assistenza sanitaria.

L’auspicio, pertanto, è che dopo questa ennesima pronuncia “pilota” in tema di inclusione delle persone con disabilità, gli enti locali, insieme a quelli regionali e nazionali, si attivino per garantire a tutti il rispetto e l’esigibilità di tale fondamentale diritto, anche attraverso la concreta attuazione della normativa esistente e l’adeguamento della stessa alla luce della più recente Convenzione Onu sui Diritti delle Persone con Disabilità ratificata nel nostro Paese con la L. 18/2009.


Per scaricare la sentenza clicca qui

L’alunno disabile può ottenere un assistente scelto dalla famiglia

Il Consiglio di Stato il 20 maggio 2009 ha adottato il provvedimento n° 3104 che prevede per  l’alunno disabile grave, al fine di evitare una regressione comportamentale per i reiterati cambiamenti delle figure di riferimento, la possibilità di  ottenere un educatore, scelto dalla famiglia, che garantisca continuità didattica, a carico del Comune.
A causa dei continui cambiamenti degli insegnanti e delle figure di supporto ad essi, i familiari di un alunno disabile notano una regressione nei risultati raggiunti e per questo chiedono la possibilità di scegliere e mantenere costante nel tempo la presenza di un educatore professionale. Negata loro tale possibilità, ricorrono al TAR che respinge l’istanza, sostenendo che le garanzie del diritto allo studio e all’assistenza del minore disabile non possono trasmodare nelle scelte delle modalità concrete con cui il servizio di sostegno socio educativo viene svolto. In sede di appello, il Collegio afferma che la richiesta dei genitori, debitamente comprovata dall’esigenza di contenere le reiterate regressioni comportamentali del figlio, causate dal continuo cambiamento delle figure professionali incaricate del sostegno didattico, attiene alle concrete modalità di svolgimento degli obblighi di integrazione scolastica previsti dagli artt. 12 e 13 della legge n. 104/1992, ed in particolare alla “programmazione coordinata dei servizi scolastici con quelli sanitari e socio-assistenziali” di cui alla lett. a), comma 1° dell’art. 13 citato. Accoglie quindi la richiesta obbligando il Comune a fornire la figura professionale prescelta dalla famiglia.
L’organizzazione dell’attività di sostegno socio assistenziale da parte degli enti locali (così come l’organizzazione dell’attività di sostegno da parte delle istituzioni scolastiche) non può, in via di fatto, comprimere o vulnerare quel diritto all’educazione, all’integrazione sociale ed alla partecipazione alla vita della comunità riconosciuto alla persona da fonti sovranazionali, dalla Costituzione e dalla legislazione ordinaria.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 4074/2008, proposto dai Signori V. G. e D. G. R., genitori del minore D. G. M., rappresentati e difesi dagli Avv. ti Carmine Pullano e Angelo Scarpa, ed elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ultimo in Roma, Via Alberico II n.11;
contro
– Sovrintendenza Scolastica Regionale del Friuli Venezia Giulia, in persona le legale rappresentante pro-tempore, e – Ministero dell’Istruzione in persona del Ministro in carica pro-tempore, entrambi rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria;
– Comune di Trieste, in persona del Sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Serena Giraldi e Domenico Vicini, elettivamente domiciliato presso l’Avv. Domenico Vicini in Roma, Via Emilio dè Cavalieri n. 11
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Friuli Venezia Giulia n. 55/2008;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione delle amministrazioni intimate;
Visti gli atti tutti della causa;
Data per letta, alla pubblica udienza del 20 gennaio 2009, la relazione del Consigliere Michele Corradino;
Uditi l’Avv. Villani per delega dell’Avv. Scarpa, l’Avv. dello Stato Borgo e Vicini;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto:

FATTO

I signori V. G. e D. G. R., genitori del minore D. G. M., hanno adito il Tribunale Amministrativo del Friuli Venezia Giulia per l’accertamento e la dichiarazione del diritto del proprio figlio minore M., affetto da una grave forma di autismo, alla continuità didattica ai sensi degli artt. 12 e 14 della legge n. 104/1992 ovvero, in subordine, ad essere integrato nella classe partecipando alle lezioni con l’ausilio dell’assistente alla comunicazione di cui all’art. 13, comma 3, della legge n. 104/1992, evidenziando come il continuo cambiamento degli educatori avesse compromesso la necessaria continuità relazionale consigliata dai medici.
Il TAR adito, con sentenza n. 55/2008, ha respinto il ricorso proposto dagli odierni appellanti sostenendo che le garanzie del diritto allo studio e all’assistenza del minore disabile non possono trasmodare nelle scelte delle modalità concrete con cui il servizio di sostegno socio educativo viene svolto.
Avverso la decisione del primo giudice, i genitori del minore hanno proposto appello perché affetta da gravi errori in judicando. In particolare gli appellanti sostengono che gli atti ed i provvedimenti adottati dal Comune e dalla scuola nel servizio assistenziale in ambito scolastico costituiscano elusione degli obblighi previsti dalla legge n. 104/1992 (artt. 8, 12 e 13), finalizzati a dare concreta attuazione al diritto allo studio ai disabili in età scolare.
L’Avvocatura dello Stato si è costituita in giudizio senza spiegare difese scritte.
Il Comune di Trieste si è costituito in giudizio chiedendo il rigetto dell’appello e rilevando che l’ente, sin dall’anno scolastico 2000-2001, ha costantemente prestato i servizi di assistenza di propria competenza.
Alla pubblica udienza del 20 gennaio 2009, il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

L’appello è fondato, secondo quanto di seguito precisato.
Come anticipato in punto di fatto, gli appellanti hanno chiesto l’accertamento del diritto del loro figlio alla continuità didattica con l’educatore V. C. (unico soggetto con il quale il figlio è riuscito ad intraprendere un efficace percorso logopedico) o, in subordine, la presenza dell’assistente per la comunicazione ai sensi dell’art. 13 della legge n. 104/1992.
I giudici di primo grado – pur condividendo che le amministrazioni coinvolte debbano tenere conto di tutte le problematiche connesse all’effettivo svolgimento della continuità didattica, impiegando personale specializzato – hanno, tuttavia, ritenuto che la richiesta dei genitori, finalizzata alla scelta individuale dell’educatore, contrasti con il potere organizzativo della p.a. e che, comunque, non sia configurabile un diritto alla continuità didattica nel senso invocato dai ricorrenti.

Al riguardo, il Collegio osserva che la richiesta dei genitori sia stata debitamente comprovata dall’esigenza di contenere le reiterate regressioni comportamentali del figlio, causate dal continuo cambiamento delle figure professionali incaricate del sostegno didattico; tale richiesta – sebbene formulata in termini di individuazione del nominativo del singolo operatore – nella sostanza attiene alle concrete modalità di svolgimento degli obblighi di integrazione scolastica previsti dagli artt. 12 e 13 della legge n. 104/1992, ed in particolare alla “programmazione coordinata dei servizi scolastici con quelli sanitari e socio-assistenziali” di cui alla lett. a), comma 1° dell’art. 13 citato.
Fatta questa premessa, non si può fare a meno di rilevare come, nel caso in esame, il continuo cambiamento dell’insegnante di sostegno e dell’educatore, (con le ovvie ricadute in termini di regressione delle esperienze e degli apprendimenti compiuti dal bambino) abbia compromesso l’omogeneità e la continuità dell’intervento individuale in favore del soggetto disabile.
Sul punto, il Collegio ritiene, invece, che l’organizzazione dell’attività di sostegno socio assistenziale da parte degli enti locali (così come l’organizzazione dell’attività di sostegno da parte delle istituzioni scolastiche) non possa, in via di fatto, comprimere o vulnerare quel diritto all’educazione, all’integrazione sociale ed alla partecipazione alla vita della comunità riconosciuto alla persona da fonti sovranazionali, dalla Costituzione e dalla legislazione ordinaria.

Pertanto, le attività integrative di valenza socio educativa (e tra queste il supporto individualizzato a favore del soggetto assistito prestato dall’educatore) devono essere prestate con modalità idonee a realizzare lo sviluppo della personalità dell’alunno e a garantire la presenza stabile di un educatore che segua costantemente l’alunno disabile nel processo di integrazione.
Nei termini sopra descritti e con riferimento all’accertamento del diritto alla continuità didattica, l’appello è fondato, mentre l’accoglimento della richiesta principale esonera il Collegio dall’esame della richiesta formulata in via subordinata (assegnazione di assistente alla comunicazione).
Per le considerazioni che precedono il ricorso in appello deve essere accolto e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, deve essere dichiarato l’obbligo del Comune di Trieste di garantire al minore M. D. G. la continuità educativo-didattica con l’educatore V. C., e solo nel caso di comprovata ed oggettiva indisponibilità di quest’ultima, di assicurare al minore un’analoga figura professionale che garantisca la continuità e la stabilità dell’intervento individuale di sostegno.
Le spese seguono la soccombenza secondo la liquidazione operata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, accoglie il ricorso indicato in epigrafe e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, dichiara l’obbligo del Comune di Trieste di garantire al minore ricorrente la continuità educativo-didattica nei sensi di cui in motivazione.
Condanna il Comune di Trieste al pagamento delle spese processuali in favore della parte appellante che liquida in € 3.000,00 (tremila/00).
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il il 20 gennaio 2009 dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale – Sez.VI – nella Camera di Consiglio, con l’intervento dei Signori:
Claudio Varrone Presidente
Maurizio Meschino Consigliere
Roberto Chieppa Consigliere
Michele Corradino Consigliere, Est.
Roberto Giovagnoli Consigliere

Presidente
CLAUDIO VARRONE
Consigliere Segretario
MICHELE CORRADINO GLAUCO SIMONINI

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 20/05/2009

Il disabile grave deve pagare secondo il proprio reddito

La sentenza   1483 del Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia  il  14 maggio 2010 ha stabilito che nel caso di fruizione di prestazioni sociali agevolate di tipo socio assistenziali rivolte a soggetti  con disabilità grave o ultrasessantacinquenni  non autosufficienti  la contribuzione al costo del servizio si deve riferire al solo reddito del richiedente la prestazione e non a quello del nucleo familiare. Nel caso preso in esame il Comune chiede di pagare la retta di compartecipazione per l’inserimento di un cittadino disabile grave in un centro socio educativo in relazione all’ISEE dell’intero nucleo familiare, così come prescritto nel Regolamento comunale. La famiglia ricorre in Tribunale per l’annullamento della delibera comunale che ha approvato il Regolamento.

Rispetto alle prestazioni sociali agevolate assicurate nell’ambito di percorsi assistenziali integrati di natura sociosanitaria, erogate a domicilio o in ambiente residenziale a ciclo diurno o continuativo rivolte ad handicappati gravi e anziani non autosufficienti, che integrino livelli essenziali di assistenza  – i cosiddetti  L.E.A. –  secondo quanto definito  dal D.P.C.M. 29.11.2001, il criterio di accesso e di parametrazione dei costi a carico del richiedente è rimesso alla definizione del legislatore statale. In tale ambito non vi è spazio per un’integrazione lasciata alle singole amministrazioni comunali, che non possono modificare o integrare, in mancanza di norme ad hoc, il criterio dettato in modo necessariamente uniforme dal legislatore statale.

SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 2854 del 2008, proposto da:

XX AA e YY Ave, in proprio e nella qualità, rispettivamente di tutore e protutore di XX BB, rappresentati  e difesi dagli Avv.ti Francesco Trebeschi e Cristina Tagliani, con domicilio eletto presso la Segreteria del Tribunale;

contro

Comune di Oggiona con Santo Stefano, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Fabio Corradi, presso il cui studio ha eletto domicilio, in Milano, Piazza Sant’Angelo n. 1;

nei confronti di

– Assemblea dei Sindaci Distretto Sociosanitario di Busto Arsizio, in persona del legale rappresentante pro tempore, ente capofila, Comune di Busto Arsizio, in persona del Sindaco pro tempore, non costituita;

– Regione Lombardia, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita;

– Autorità Garante per la protezione dei dati personali, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita;;

per l’annullamento

previa sospensione dell’efficacia,

-della nota del Responsabile del servizio socio culturale del Comune di Oggiona con Santo Stefano n. 8633 del 02.10.2008;

-della nota del Responsabile del servizio socio culturale del Comune di Oggiona con Santo Stefano n. 3673 del 15.04.2008

-della Delibera del Consiglio Comunale del Comune di Oggiona con Santo Stefano n. 35 del 25.11.2003;

-della Delibera della Giunta Comunale del Comune di Oggiona con Santo Stefano n. 44 del 09.04.2008;

-comunque delle delibere e dei provvedimenti con i quali il Comune di Oggiona con Santo Stefano e l’Assemblea dei Sindaci del Distretto sociosanitario di Busto Arsizio hanno determinato le modalità di partecipazione al costo del servizio C.D.D. o in generale dei servizi per disabili gravi;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Oggiona con Santo Stefano;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21/01/2010 il dott. Fabrizio Fornataro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

I ricorrenti hanno impugnato le determinazioni indicate in epigrafe, deducendone l’illegittimità per violazione di legge ed eccesso di potere sotto diversi profili.

Si è costituito in giudizio il Comune di Oggiona con Santo Stefano, eccependo l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso avversario.

Non si sono costituite in giudizio l’Assemblea dei Sindaci Distretto Sociosanitario di Busto Arsizio, la Regione Lombardia e l’Autorità Garante per la protezione dei dati personali.

Le parti costituite hanno prodotto memorie e documenti.

Con ordinanza n. 10/2009 datata 09.01.2009, il Tribunale ha accolto la domanda cautelare contenuta nel ricorso.

Con ordinanza n. 3065/09 datata 12.06.2009, il Consiglio di Stato ha respinto l’appello cautelare presentato dall’amministrazione

All’udienza del giorno 21.01.2010 la causa è stata trattenuta in decisione.

1) Dalle deduzioni articolate nel ricorso e nelle memorie difensive, nonché dalla documentazione versata in atti, emerge che il sig. XX AA è il padre e tutore del sig. BB XX, disabile in situazione di gravità inserito presso il Centro Socio Educativo (CSE) di Villa Colombo; presso tale Centro il sig. BB XX fruisce del servizio di assistenza dal lunedì al venerdì, dal mattino al primo pomeriggio.

Con nota del Responsabile del Servizio – Ufficio Servizi Sociali datata 15.04.2008 n. 3673, il Comune di Oggiona con Santo Stefano comunicava al sig. AA XX che la quota di compartecipazione prevista per l’anno in corso, in ordine al servizio di inserimento del figlio presso il C.S.E. di Villa Colombo, era pari ad Euro 462,28 mensili, con l’avviso che la somma sarebbe stata ridefinita in caso di comunicazione del valore dell’I.S.E.E. relativo al nucleo familiare del figlio, secondo quanto previsto dall’art. 9 del “regolamento per la realizzazione di interventi e per la fruizione di servizi in campo sociale”, approvato con D.C.C. n. 35 del 25.11.2003.

Il sig. AA XX, dapprima personalmente, con lettera trasmessa all’amministrazione in data 24.04.2008, poi con istanza presentata a mezzo del proprio difensore e datata 21.05.2008, chiedeva al Comune di riesaminare la determinazione assunta, facendo applicazione del criterio della evidenziazione della situazione economica del solo assistito, previsto in relazione alle persone con handicap grave dall’art. 3, comma 2 ter, del d.l.vo 1998 n.109.

Con atto del Responsabile del Servizio socio culturale – pubblica istruzione prot. n. 8633 del 02.10.2008, il Comune di Oggiona con Santo Stefano respingeva la richiesta avanzata dal sig. XX, sviluppando argomentazioni giuridiche e richiamando orientamenti giurisprudenziali in ordine all’impossibilità di fare immediata applicazione, in relazione al caso concreto, del criterio posto dall’art. 3, comma 2 ter, del d.l.vo 1998 n. 109.

Inoltre, l’atto indicato argomentava in ordine alla legittimità del presupposto regolamento comunale e, dopo avere respinto l’istanza, ribadiva la debenza delle somme determinate con la nota n. 3673 del 15.04.2008.

Va osservato che le determinazioni in questione si fondano sul regolamento approvato con deliberazione del Consiglio Comunale n. 35 del 25.11.2003, che, come puntualmente riferito dall’amministrazione resistente, prevede in via generale – senza dettare una diversa disciplina per gli utenti disabili gravi – che la valutazione della situazione economica ai fini dell’accesso e della compartecipazione al costo dei cittadini, con riferimento a prestazioni sociali agevolate non residenziali “ha luogo considerando il nucleo familiare di appartenenza individuato ai sensi dell’art. 2, commi 2 e 3, del d.l.vo 109/1998 nonché del D.P.C.M. 221/1999 e loro integrazioni e modificazioni”, con la precisazione che la situazione economica dei soggetti richiedenti prestazioni agevolate deve essere “determinata secondo i criteri di cui al d.lgs. 109/98 e s.m.i.”.

Inoltre, l’art. 9, comma 2, del regolamento dispone che “qualora l’utenza non produca la documentazione I.S.E.E. richiesta verrà applicata la tariffa massima prevista per il servizio erogato” (cfr. memoria dell’amministrazione depositata in data 11.01.2010 pag. 9).

Il Comune resistente specifica (cfr. memoria cit.) che con la successiva deliberazione della Giunta Comunale – parimenti impugnata – n. 44 del 09.05.2008, avente ad oggetto “Tariffe servizi sociali – Agevolazioni. Ricognizione anno 2008” l’amministrazione ha aggiornato, in base ai criteri normativi già riferiti, le tariffe agevolate per taluni servizi, compreso quello di inserimento in C.S.E., mediante la predisposizione di un’apposita tabella.

Avverso le determinazioni del Responsabile del servizio socio culturale del Comune di Oggiona con Santo Stefano n. 3673 del 15.04.2008 e n. 8633 del 02.10.2008, nonché avverso il regolamento approvato con D.C.C. n. 35 del 25.11.2003 e la Delibera della Giunta Comunale n. 44 del 09.04.2008, i ricorrenti hanno proposto l’impugnazione di cui si tratta.

2) Devono essere esaminate con precedenza le eccezioni di rito formulate dalle parti resistenti.

L’amministrazione lamenta la tardività dell’impugnazione, in quanto proposta dopo il decorso del termine di 60 giorni sia dalla pubblicazione del regolamento impugnato e della successiva deliberazione della Giunta Comunale – parimenti impugnata – n. 44 del 09.05.2008, sia dalla piena conoscenza della nota prot. n. 8633 del 02.10.2008.

L’eccezione non merita condivisione.

In primo luogo, va osservato che sia il regolamento impugnato sia la deliberazione n. 44/2008 non recano disposizioni immediatamente incidenti sulla sfera giuridica dei ricorrenti, trattandosi, rispettivamente, di un atto normativo e di un atto amministrativo generale la cui portata lesiva può manifestarsi solo mediante specifici atti applicativi, rivolti a destinatari determinati, adottati sulla base delle disposizioni in essi contenute.

Ne deriva che nel caso di specie la tempestività dell’impugnazione deve essere apprezzata in relazione alla piena conoscenza degli atti esecutivi che, nel caso di specie, hanno fatto applicazione delle disposizioni generali suindicate.

In relazione a tale profilo va osservato che la determinazione n. 8633 del 02.10.2008 non si è limitata a confermare i contenuti della determinazione n. 3673/2008, pur ribadendo la quantificazione dei costi in essa contenuta, ma, sulla base di una riesame della fattispecie complessiva, ha respinto l’istanza con la quale il ricorrente ha chiesto che la determinazione dei costi avvenisse sulla base del criterio posto dall’art. 3, comma 2 ter, del d.l.vo 1998 n. 109, sviluppando articolate argomentazioni giuridiche.

Del resto, è solo con questa determinazione che l’amministrazione ha argomentato in ordine ai criteri generali ritenuti applicabili al caso di specie, senza limitarsi ad una mera quantificazione dei costi.

Insomma, la deliberazione n. 8633, per il suo contenuto specifico, assorbe e sostituisce – in conseguenza di un riesame della fattispecie complessiva conseguente ad un’istanza dell’interessato – la precedente determinazione n. 3673/2008, ponendosi come nuovo atto regolativo del caso concreto, dotato di autonoma attitudine lesiva e suscettibile di autonoma impugnazione, anche in relazione alle illegittimità correlate al contenuto del regolamento e dell’atto generale ad essa presupposti e di cui ha fatto applicazione.

D’altro canto, il ricorso di cui si tratta è stato spedito per la notificazione in data 09.12.2008, ma l’amministrazione resistente non documenta in alcun modo che la piena conoscenza dell’atto da parte dei ricorrenti sia avvenuta prima di 60 giorni dalla presentazione dell’impugnazione, mentre è del tutto pacifico in giurisprudenza il principio a mente del quale è la parte che eccepisce la tardività dell’impugnazione a dovere provare quando si è verificata la piena conoscenza dell’atto impugnato.

Va, pertanto, ribadita l’infondatezza dell’eccezione di cui si tratta.

3) Deve essere rilevato d’ufficio il difetto di legittimazione, nel presente giudizio, dell’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali.

Invero, tale soggetto non è parte resistente, perché ad essa non è riconducibile il provvedimento impugnato, né ha posto in essere provvedimenti prodromici ad esso.

Del resto, l’Autorità non assume neppure la qualifica di controinteressato, atteso che il provvedimento impugnato non gli arreca alcun vantaggio giuridicamente rilevante.

Priva di rilevanza è anche la qualificazione dell’Autorità come cointeressata, secondo quanto prospettato nel ricorso, sia perché l’Autorità non è pregiudicata dal provvedimento impugnato e quindi non è un soggetto cointeressato, sia perché, anche ad accedere alla tesi delle ricorrenti, il cointeressato ha titolo per partecipare al giudizio promosso avverso un provvedimento che lo lede direttamente solo impugnandolo nel rispetto dei termini perentori stabiliti dalla legge.

Va, pertanto, ribadito che l’Autorità non è portatrice di situazioni giuridiche soggettive che giustifichino la sua partecipazione al giudizio e, di conseguenza, ne va disposta l’estromissione dal processo.

4) Con il primo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 3, comma 2 ter, del d.l.vo 1998 n. 109 nella parte in cui impone di evidenziare la situazione economica del solo assistito, con riferimento alla ripartizione dei costi per le prestazioni socio sanitarie erogate nei confronti di persone colpite da handicap grave.

Il motivo è fondato.

Preliminarmente, va osservato che non merita condivisione l’argomentazione sviluppata dall’amministrazione secondo la quale il riferimento alla disciplina correlata all’erogazione di prestazioni socio sanitarie non sarebbe rilevante nel caso di specie, in quanto l’istituto Villa Colombo, frequentato dal sig. BB XX, essendo un Centro Socio Educativo (C.S.E.) e non un Centro Diurno integrato per persone Disabili (C.D.D.), potrebbe erogare un servizio solo socio educativo o socio animativo, ma non socio sanitario.

Al di là della circostanza che l’amministrazione si limita a sviluppare delle considerazioni correlate in generale alla funzione dei C.S.E. senza dimostrare il carattere non socio sanitario delle prestazioni fornite nel caso concreto dall’istituto di Villa Colombo, occorre rilevare che la ricostruzione operata dal Comune non corrisponde ai contenuti del piano socio sanitario regionale, cui pure l’amministrazione fa riferimento.

Invero, tale piano – approvato con delibera del Consiglio Regionale della Lombardia n. IV 871 datato 23.12.1987 (cfr. doc 11 di parte ricorrente) – prevede espressamente all’art. 6 quali siano le funzioni dei C.S.E., precisando che essi esercitano anche “funzioni sanitarie, costituite dalle attività riabilitative e terapeutiche mirate, che devono essere specifiche e di carattere specialistico differenziate a seconda delle esigenze e dei bisogni dei singoli soggetti ed individuate sulla base degli esami diagnostico-prognostici e delle prescrizioni-programmi terapeutici corrisposti dagli specialisti dell’équipe”

Ne deriva che la tesi dell’amministrazione è smentita dal contenuto del piano regionale, mentre merita condivisione la riconduzione della fattispecie in esame a prestazioni di natura socio sanitaria, secondo quanto dedotto dalle parti ricorrenti.

La trattazione della censura in esame rende opportuna la ricostruzione del quadro normativo in cui si colloca la disposizione invocata dal ricorrente, al fine di valutarne l’immediata precettività, anche alla luce dei diversi orientamenti sviluppati in ambito giurisprudenziale.

4.1) Il d.l.vo 1998 n. 109 introduce l’I.S.E.E. come criterio generale di valutazione della situazione economica delle persone che richiedono prestazioni sociali agevolate e l’applicazione di tale parametro comporta che la condizione economica del richiedente sia definita in relazione ad elementi reddituali e patrimoniali del nucleo familiare cui egli appartiene.

Rispetto a particolari situazioni, il decreto n. 109 prevede però l’utilizzo di un diverso parametro, basato sulla situazione del solo interessato.

In particolare, l’art. 3, comma 2 ter – come modificato dall’art. 3, comma 4, D.L.vo 3 maggio 2000, n. 130 – stabilisce che “limitatamente alle prestazioni sociali agevolate assicurate nell’ambito di percorsi assistenziali integrati di natura sociosanitaria, erogate a domicilio o in ambiente residenziale a ciclo diurno o continuativo, rivolte a persone con handicap permanente grave, di cui all’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, accertato ai sensi dell’articolo 4 della stessa legge, nonché a soggetti ultra sessantacinquenni la cui non autosufficienza fisica o psichica sia stata accertata dalle aziende unità sanitarie locali, le disposizioni del presente decreto si applicano nei limiti stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta dei Ministri per la solidarietà sociale e della sanità. Il suddetto decreto è adottato, previa intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, al fine di favorire la permanenza dell’assistito presso il nucleo familiare di appartenenza e di evidenziare la situazione economica del solo assistito, anche in relazione alle modalità di contribuzione al costo della prestazione, e sulla base delle indicazioni contenute nell’atto di indirizzo e coordinamento di cui all’articolo 3-septies, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni”.

La norma presenta un ambito di riferimento ben delimitato, in quanto: 1) riguarda solo persone con handicap permanente grave, accertato ai sensi degli artt. 3, comma 3, e 4 della legge 1992, n. 104, nonché i soggetti ultra sessantacinquenni la cui non autosufficienza fisica o psichica sia stata accertata dalle A.S.L.; 2) si riferisce solo alle prestazioni inserite in percorsi integrati di natura sociosanitaria, erogate a domicilio o in ambiente residenziale, di tipo diurno oppure continuativo.

In relazione a tali situazioni la disposizione prevede che debba essere evidenziata la situazione economica del solo assistito, anche per ciò che attiene alle modalità di contribuzione al costo della prestazione.

Vale ricordare che in quest’ultimo ambito la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni è avvenuta con il D.P.C.M. 29 novembre 2001 – adottato sulla base dell’art. 6 del decreto-legge 18 settembre 2001, n. 347 recante interventi urgenti in materia di spesa sanitaria, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 16 novembre 2001, n. 405 – che elenca una serie di prestazioni che devono essere assicurate sull’intero territorio nazionale.

Tra queste (cfr. tabella 1 C del D.P.C.M. 29 novembre 2001, che esplicitamente riguarda le tipologie erogative di carattere socio sanitario, nonché quelle sanitarie di rilevanza sociale, ovvero le prestazioni nelle quali la componente sanitaria e quella sociale non risultano operativamente distinguibili) vengono comprese le attività di assistenza territoriale a favore di persone anziane e persone diversamente abili, attività che comprendono, a seconda dei casi, prestazioni diagnostiche, terapeutiche e socio-riabilitative in regime domiciliare, semiresidenziale e residenziale (cfr. sulla funzione del D.P.C.M. rispetto alla definizione dei livelli essenziali di assistenza ai sensi dell’art. 117, comma 2 lett. m), Cost., si consideri Corte costituzionale, 27 marzo 2003, n. 88).

D’altro canto, come già ricordato, la norma in esame specifica che, nei confronti delle categorie di persone considerate, le disposizioni del decreto legislativo n. 109 si applicano nei limiti stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, da adottare previa intesa con la Conferenza unificata, con la specificazione della duplice finalità da perseguire consistente sia nel favorire la permanenza dell’assistito presso il nucleo familiare di appartenenza, sia di evidenziare la situazione economica del solo assistito.

Il riferimento all’emanazione di un apposito D.P.C.M., per stabilire i limiti di applicazione del decreto nei confronti di disabili gravi e anziani non autosufficienti, pone il problema della immediata applicabilità della norma nella parte in cui prevede che, in tali casi, si debba evidenziare la situazione economica del solo assistito e non più del suo nucleo familiare, secondo l’ordinario parametro I.S.E.E..

Sul punto si sono sviluppati tre orientamenti interpretativi.

Il primo esclude l’immediata applicabilità del principio, in quanto a) è la stessa disposizione che subordina l’applicazione ad un apposito D.P.C.M., sicché il comma 2 ter integra una norma di mero indirizzo; b) il riferimento della norma alla situazione economica del solo assistito si accompagna al contestuale richiamo alla necessità di favorire la permanenza dell’assistito medesimo presso il nucleo familiare di origine, di modo che la realizzazione del primo risultato non può prescindere da quella del secondo; c) il comma 2 ter richiede che il D.P.C.M. sia adottato previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni unificata con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, ex art. 8 D.Lgs. n. 281/97 e ciò conferma l’efficacia non immediatamente precettiva della disposizione, in linea sia con le prerogative costituzionalmente riconosciute a Regioni ed autonomie locali in una materia che ne vede coinvolti gli interessi, sia con il principio della leale collaborazione che informa i rapporti tra i diversi livelli di Governo dopo la riforma del Titolo V Cost. (cfr. Tar Toscana, sez. II, 25 agosto 2009, n. 1409; C.d.S., sez. III, parere del 24 marzo 2009, n. 569/2009).

Il secondo orientamento ritiene, invece, che la norma in esame introduca un principio giuridico sufficientemente preciso, tale da vincolare l’amministrazione anche in assenza del decreto di attuazione del Presidente del Consiglio.

In particolare si considera che “nelle situazioni di maggiore difficoltà come quelle che investono i soggetti diversamente abili le regole ordinarie dell’I.S.E.E. incontrano una deroga necessaria, dovendo obbedire alla prioritaria esigenza di facilitare il protrarsi della loro permanenza nel nucleo familiare ospitante: tale obiettivo è perseguito attraverso l’evidenziazione della situazione economica del solo assistito, anche in relazione al concorso alle spese dovute per i servizi fruiti”.

Nondimeno, secondo questa impostazione la regola della evidenziazione della situazione economica del solo assistito non va intesa in senso assoluto ed incondizionato, ma lascia alle amministrazioni locali la facoltà di “ricercare soluzioni concrete in sede di individuazione dei criteri di compartecipazione ai costi dei Centri frequentati”.

In particolare si ritiene che “il dato letterale di riferimento sembra fornire indicazioni in tal senso quando afferma che l’applicazione dei principi sull’I.S.E.E. è limitata ad ipotesi circoscritte, individuate con il decreto che deve (o avrebbe dovuto) riconoscere un rilievo predominante alla situazione economica del solo assistito nell’ottica di facilitare la sua convivenza con il nucleo familiare. Al riguardo non sembra condivisibile una lettura della seconda parte del comma 2-ter tesa a riconoscere un principio assoluto ed incondizionato, mentre al D.P.C.M. sarebbe demandata la funzione, esclusiva ed eventuale, di limitarne la portata. Da una lettura complessiva emerge viceversa che la disposizione affida all’autorità statale, in via contestuale, sia il compito di raggiungere il delineato obiettivo a favore dei soggetti tutelati sia la determinazione dei limiti residuali entro i quali l’I.S.E.E. familiare può comunque trovare applicazione: spetta in altre parole al Presidente del Consiglio dare attuazione al principio e delimitarne la portata, individuando le ipotesi marginali nelle quali può riespandersi la disciplina generale dell’I.S.E.E. familiare. In assenza del suddetto decreto, pare evidente che la proposizione normativa – come già detto immediatamente precettiva – debba essere nella sua globalità tradotta in scelte concrete dalle amministrazioni titolari delle funzioni amministrative in materia di interventi sociali sul territorio” (cfr. T.A.R. Lombardia Brescia, sez. I, 02 aprile 2008, n. 350; T.A.R. Lombardia Brescia, sez. II, 13 luglio 2009, n. 1470; T.A.R. Lombardia Brescia, sez. II, 14 gennaio 2010, n. 18).

Viceversa il terzo orientamento considera che la regola della evidenziazione della situazione economica del solo assistito, rispetto alle persone con handicap permanente grave e ai soggetti ultra sessantacinquenni la cui non autosufficienza fisica o psichica sia stata accertata dalle aziende unità sanitarie locali, integra un criterio immediatamente applicabile ai fini della fruizione di prestazioni afferenti a percorsi assistenziali integrati di natura sociosanitaria, erogate a domicilio o in ambiente residenziale a ciclo diurno o continuativo, senza lasciare spazio normativo alle amministrazioni locali (cfr. Tar Lombardia Milano, sez. III, ordinanza 08 maggio 2009 n. 581; Tar Lombardia Milano, sez. III, ordinanza 08 maggio 2009 n. 582; Tar Lombardia Milano, sez. IV, 10 settembre 2008 n. 4033; T.A.R. Sardegna Cagliari, sez. I, 24 ottobre 2009, n. 1562; Tar Marche Ancona, sez. I, ordinanza 27 settembre 2007 n. 521; Tar Sicilia Catania, 11 gennaio 2007 n. 42).

4.2) Il Tribunale ritiene di dover confermare la propria adesione a quest’ultimo orientamento interpretativo.

In generale va osservato che la materia dei servizi sociali non è elencata né nell’art. 117, comma 2, Cost., relativo agli ambiti di legislazione statale esclusiva, né nel comma 3 del medesimo art. 117, relativo agli ambiti di legislazione regionale concorrente – tra i quali va invece compresa la “tutela della salute” – sicché l’ambito dei servizi sociali va ricondotto alle materie di legislazione esclusiva regionale, ai sensi del comma 4 dell’art. 117 Cost., ove si prevede che spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato (cfr. Corte Cost., 30 aprile 2009, n. 124).

Il giudice costituzionale ha precisato che, anche a seguito della riforma del titolo V, resta fermo che per la delimitazione della nozione di “servizi sociali” è necessario fare riferimento, in primo luogo, alla legge 8 novembre 2000, n. 328 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali), la quale, all’art. 1, comma 1, nel fissare i principi generali e la finalità perseguite, afferma che “la Repubblica assicura alle persone e alle famiglie un sistema integrato di interventi e servizi sociali, promuove interventi per garantire la qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione e diritti di cittadinanza, previene, elimina o riduce le condizioni di disabilità, di bisogno e di disagio individuale e familiare, derivanti da inadeguatezza di reddito, difficoltà sociali e condizioni di non autonomia, in coerenza con gli articoli 2, 3 e 38 della Costituzione”.

Il comma 2 del medesimo articolo precisa che per “interventi e servizi sociali si intendono tutte le attività previste dall’articolo 128 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112” (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni e agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59).

Il richiamato decreto legislativo n. 112 del 1998, agli artt. da 128 a 134, disciplina le funzioni e i compiti amministrativi relativi alla materia dei servizi sociali e, al comma 2 dell’art. 128, specifica che con tale nozione si intendono tutte le attività relative alla predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti e a pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno o di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario, nonché quelle assicurate in sede di amministrazione della giustizia.

La Corte Costituzionale ha messo in luce l’esistenza di un “nesso funzionale tra i servizi sociali, quali che siano i settori di intervento (ad esempio famiglia, minori, anziani, disabili) e la rimozione o il superamento di situazioni di svantaggio o di bisogno, per la promozione del benessere fisico e psichico della persona” (cfr. Corte costituzionale, 28 luglio 2004, n. 287).

La materia dei servizi sociali si presta però ad interferenze da parte del legislatore statale, in esercizio della competenza che gli spetta in via esclusiva in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, ai sensi dell’art. 117, comma 2 lett. m), Cost.; in particolare, la competenza esclusiva in quest’ultima materia attribuisce al legislatore statale un fondamentale strumento per garantire il mantenimento di un’adeguata uniformità di trattamento sul piano dei diritti di tutti i soggetti, pur in un sistema caratterizzato da un livello di autonomia regionale e locale decisamente accresciuto.

La Corte Costituzionale ha posto in luce che la conseguente forte incidenza sull’esercizio delle funzioni nelle materie assegnate alle competenze legislative ed amministrative delle Regione e delle Province autonome impone evidentemente che queste scelte, almeno nelle loro linee generali, siano operate dallo Stato con legge, che dovrà inoltre determinare adeguate procedure e precisi atti formali per procedere alle specificazioni ed articolazioni ulteriori che si rendano necessarie nei vari settori (cfr. Corte costituzionale, 27 marzo 2003, n. 88).

Ne deriva che nella materia in esame la competenza legislativa esclusiva delle Regioni incontra comunque il limite della disciplina dettata dal legislatore statale nella determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, che anche in tale ambito devono essere assicurati.

Occorre, però, precisare che la determinazione di siffatti livelli non comprende solo la specificazione delle attività e dei servizi da erogare, in quanto è del tutto coerente ritenere che anche la definizione dei criteri di accesso a questi benefici integri un livello essenziale di prestazioni da garantire in modo uniforme sull’intero territorio nazionale.

In particolare, se la legge considera una certa attività o un determinato servizio di natura essenziale, imponendone l’erogazione in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, la realizzazione di questo obiettivo postula che tutti gli interessati possano accedere in condizioni di parità a simili prestazioni.

Pertanto, è necessario che il criterio in forza del quale vengono selezionati i soggetti destinatari di prestazione ritenute essenziali dal legislatore statale sia definito una volta per tutte proprio dal legislatore statale, in quanto esprime, a sua volta, un livello essenziale di prestazione da garantire in modo uniforme sul territorio nazionale.

In altre parole, il criterio di individuazione dei soggetti aventi diritto a prestazioni ritenute essenziali dalla legge statale non può essere diverso da un territorio regionale all’altro, in quanto ciò provocherebbe un diverso trattamento tra persone oggettivamente nelle stesse condizioni, sicché, pure a parità di condizioni, la stessa prestazione, essenziale in base alla legge, sarebbe accessibile per alcuni e non per altri.

Diversamente opinando si renderebbe inutile l’individuazione stessa di determinati servizi ed attività come prestazioni essenziali, da garantire in quanto tali in modo omogeneo ed uniforme su tutto il territorio nazionale, atteso che tale esigenza di uniformità sarebbe vanificata dalla possibilità di introdurre diversi criteri di accesso alle prestazioni.

Va, pertanto, ribadito che i criteri stabiliti dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, essendo funzionali all’accesso alle attività e ai servizi essenziali delineati dalla legge 2000 n. 328 (sul punto si richiama ancora l’art. 25 della legge n. 328), sono preordinati al mantenimento di livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che debbono essere garantiti su tutto il territorio nazionale ai sensi e per gli effetti dell’articolo 117, comma 2 lettera m), Cost., sicché integrano essi stessi un livello essenziale di prestazione, la cui definizione spetta al legislatore statale (cfr. simili conclusioni sono coerenti con le considerazioni svolte da C.d.S., sez. cons. atti norm., 29 agosto 2005, n. 4699/03, nonché C.d.S., sez. V, ord. 14 settembre 2009, n. 4582).

Naturalmente spetta al legislatore statale stabilire anche il limite entro il quale l’individuazione di un criterio selettivo integra un livello essenziale delle prestazioni, nel senso che non è da escludere che il legislatore nazionale, una volta fissato il criterio fondamentale, riconosca alle Regioni uno spazio di intervento destinato a rendere coerente l’uniformità del criterio con le specificità delle singole realtà territoriali.

E’ evidente che eventuali regole di accesso ai servizi lasciate al legislatore regionale, o alla potestà amministrativa degli enti locali, nei termini ora precisati, non integrano livelli essenziali delle prestazioni, ma sono solo strumenti di adeguamento locale del criterio fissato in modo omogeneo ed uniforme dal legislatore statale.

4.3) Il dato normativo conduce, quindi, a ritenere che la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni è rimessa, anche nella materia de qua, al legislatore statale e che la definizione dei criteri per l’accesso alle prestazioni di cui si tratta integra un livello essenziale, la cui definizione spetta al legislatore statale, in quanto se determinate attività e determinati servizi devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale è necessario che anche i parametri di accesso ai medesimi siano uniformi.

Ne deriva che rispetto alle prestazioni sociali agevolate assicurate nell’ambito di percorsi assistenziali integrati di natura sociosanitaria, erogate a domicilio o in ambiente residenziale a ciclo diurno o continuativo rivolte ad handicappati gravi e anziani non autosufficienti, che integrino livelli essenziali di assistenza – c.d. L.E.A. – secondo quanto definito dal D.P.C.M. 29.11.2001, il criterio di accesso e di parametrazione dei costi a carico del richiedente è rimesso alla definizione del legislatore statale.

In tale ambito non vi è spazio per un’integrazione lasciata alle singole amministrazioni comunali, che non possono modificare o integrare, in mancanza di norme ad hoc, il criterio dettato in modo necessariamente uniforme dal legislatore statale.

Invero, va ribadito che in relazione alle materie di legislazione statale esclusiva, come la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, anche il potere regolamentare spetta allo Stato, ex art. 117, comma 6, Cost., salva la possibilità di delegarlo alle Regioni, delega che non sussiste nella materia in esame.

Proprio l’attribuzione allo Stato del potere regolamentare esclude la configurabilità di un potere normativo di secondo grado in capo agli Enti locali, in ordine alla definizione del criterio di valutazione della situazione economica da applicare nei confronti di disabili gravi e anziani non autosufficienti, ai fini dell’erogazione di prestazioni sociali agevolate.

Del resto, occorre precisare che l’art. 3 del d.l.vo 1998 n. 109, nella parte in cui riserva uno spazio di disciplina agli enti locali in sede di definizione dei parametri per l’accesso ai servizi, stabilendo che essi possono prevedere accanto all’indicatore della situazione economica equivalente “criteri ulteriori di selezione dei beneficiari” va inteso nel senso che consente di attribuire rilevanza a fattori diversi da quelli reddituali o patrimoniali, per i quali il limite della rilevanza è stato definito dal legislatore statale in sede di determinazione, in generale, del parametro I.S.E.E. e, rispetto a anziani non autosufficienti ed handicappati gravi, mediante la valorizzazione della situazione economica del solo assistito (cfr. in argomento Tar Lombardia Milano, sez. I, 07 febbraio 2008 n. 303; T.A.R. Lombardia Brescia, sez. I, 02 aprile 2008 , n. 350; Tar Umbria, 06 febbraio 2002, n. 271).

Quanto alla diretta applicabilità della regola dell’evidenziazione del situazione economica del solo assistito, va osservato, in primo luogo, che, trattandosi di un livello essenziale di prestazione, la definizione di tale criterio è necessariamente riservata al legislatore statale, in base al vigente art. 117 Cost..

Parimenti spetta al legislatore statale stabilire entro quali limiti tale criterio vada applicato, nel senso che esigenze e situazioni ulteriori possono rendere opportuno il ripristino del criterio dell’I.S.E.E. familiare, come criterio generale di accesso alle prestazioni di cui al decreto legislativo 1998 n. 109; criterio che, come tale, integra già un livello essenziale di prestazioni, secondo quanto già evidenziato.

Tale considerazione consente di definire la portata dell’art. 3, comma 2 ter, del d.l.vo 1998 n. 109, nella parte in cui rimette ad un apposito D.P.C.M. la determinazione dei limiti di applicabilità del d.l.vo nei confronti delle categorie in esame “al fine di favorire la permanenza dell’assistito presso il nucleo familiare di appartenenza e di evidenziare la situazione economica del solo assistito, anche in relazione alle modalità di contribuzione al costo della prestazione”.

La disposizione rimette ad un apposito D.P.C.M. la possibilità di valorizzare peculiari situazioni sociali, ambientali o familiari, tali da giustificare limiti all’applicabilità delle norme del decreto legislativo ed in particolare al criterio della situazione economica del solo assistito, qualora ciò sia funzionale a favorire la permanenza dell’utente presso il nucleo familiare di appartenenza.

In particolare, spetta al D.P.C.M. stabilire quali siano le fattispecie particolari nelle quali la permanenza presso il nucleo familiare di persone handicappate gravi o di anziani non autosufficienti è favorita mediante l’applicazione del criterio I.S.E.E. in luogo del criterio fondato sulla situazione economica del solo assistito (in senso conforme, in relazione al ruolo del D.P.C.M. si vedano: T.A.R. Lombardia Brescia, sez. II, 13 luglio 2009, n. 1470; T.A.R. Lombardia Brescia, sez. II, 14 gennaio 2010 n. 18).

Tale profilo, coinvolgendo ampie valutazioni incide direttamente sulle modalità di erogazione dei servizi sociali – materia di competenza regionale esclusiva – e questo spiega perché la norma prescriva il necessario coinvolgimento delle amministrazioni regionali, attraverso lo strumento dell’intesa in sede di conferenza unificata, in applicazione del principio di leale collaborazione (in ordine al quale si vedano, tra le altre, Corte Cost., 8 giugno 2005, n. 222 e Corte Cost., 1 ottobre 2003, n. 303).

Tuttavia, queste ulteriori specificazioni non incidono sul contenuto del criterio, di tipo individualistico, prescelto dal legislatore statale nei confronti delle categorie di persone di cui si tratta; criterio che è già sufficientemente precisato dal legislatore e risulta, nella sua oggettività, immediatamente applicabile.

In altre parole, il D.P.C.M. non è destinato ad incidere sulla struttura del criterio prescelto dal legislatore, ma solo a limitarne in determinati casi l’applicazione in favore del criterio generale dell’I.S.E.E. e la configurabilità di eccezioni alla regola generale per la fruizione dei servizi, sulla base di ulteriori valutazioni, non osta all’immediata applicabilità della regola stessa.

Va ribadito che la possibilità di individuare eccezioni al parametro della situazione economica del solo assistito non lascia spazio ad un potere regolamentare degli enti locali, in quanto, come già evidenziato, la definizione del criterio di capacità economica da utilizzare ai fini dell’erogazione di prestazioni sociali agevolate attiene ai livelli essenziali di prestazioni, la cui determinazione è riservata al legislatore statale, senza spazi per un potere normativo degli enti locali.

Pertanto, non è condivisibile la tesi secondo la quale, in assenza del suddetto decreto, la norma in esame consentirebbe l’effettuazione di scelte concrete da parte delle amministrazioni titolari delle funzioni amministrative in materia di interventi sociali sul territorio, in quanto implica l’attribuzione ai Comuni di un potere regolamentare in assenza di una specifica norma di legge e, comunque, al di fuori del riparto costituzionale del potere normativo di secondo grado, stabilito dall’art. 117, comma 6, Cost..

Con particolare riferimento alla posizione delle persone colpite da disabilità va osservato che non solo il quadro costituzionale, ma anche l’interpretazione sistematica con le norme di derivazione internazionale conduce a ritenere immediatamente applicabile il criterio di cui si tratta, che sottende la valorizzazione del disabile come persona autonoma e non solo come componente di un particolare nucleo familiare.

In tal senso, occorre fare riferimento alla legge 3 marzo 2009 n. 18 che ha ratificato la Convenzione di New York del 13 dicembre 2006 sui “diritti delle persone con disabilità”.

La giurisprudenza ha già sottolineato che la Convenzione si basa sulla valorizzazione della dignità intrinseca, dell’autonomia individuale e dell’indipendenza della persona disabile (cfr. tra le altre T.A.R. Lombardia Brescia, sez. II, 13 luglio 2009, n. 1470).

Sul punto è sufficiente ricordare che l’art. 3 della Convenzione, dopo avere considerato nel preambolo, tra l’altro, che “la maggior parte delle persone con disabilità vive in condizioni di povertà”, con conseguente “necessità di affrontare l’impatto negativo della povertà sulle persone con disabilità”, individua come principi generali “il rispetto per la dignità intrinseca, l’autonomia individuale, compresa la libertà di compiere le proprie scelte, e l’indipendenza delle persone” con disabilità.

In tale contesto è significativo che, in relazione al diritto alla salute delle persone disabili, l’art. 25 stabilisca che “Gli Stati Parti adottano tutte le misure adeguate a garantire loro l’accesso a servizi sanitari che tengano conto delle specifiche differenze di genere, inclusi i servizi di riabilitazione. In particolare, gli Stati Parti devono: (a) fornire alle persone con disabilità servizi sanitari gratuiti o a costi accessibili, che coprano la stessa varietà e che siano della stessa qualità dei servizi e programmi sanitari forniti alle altre persone, compresi i servizi sanitari nella sfera della salute sessuale e riproduttiva e i programmi di salute pubblica destinati alla popolazione”

Quindi la Convenzione impone di tutelare i diritti del soggetto disabile, anche in ambito sanitario, valorizzando la sua dignità intrinseca, la sua autonomia individuale ed indipendenza, anche quando egli individualmente considerato versi in precarie condizioni economiche.

Insomma, la disciplina internazionale impone agli Stati aderenti un dovere di solidarietà nei confronti dei disabili, in linea con i principi costituzionali di uguaglianza e di tutela della dignità della persona, che nel settore specifico rendono doveroso valorizzare il disabile di per sé, come soggetto autonomo, a prescindere dal contesto familiare in cui è collocato, anche se ciò può comportare un aggravio economico per gli enti pubblici.

I principi della Convenzione supportano, in relazione alla posizione delle persone disabili, la tesi dell’immediata applicabilità del comma 2 ter dell’art. 3 del d.l.vo 1998 n. 109 nella parte in cui introduce il criterio fondato sulla situazione economica del solo assistito, trattandosi di un parametro che riflette proprio l’esigenza di considerare in modo autonomo ed individuale i soggetti disabili ai fini dell’erogazione di prestazioni sociali agevolate.

Va, pertanto, ribadito che il criterio in questione è immediatamente applicabile, mentre gli Enti locali non dispongono di poteri normativi di secondo grado che consentano di modificare, integrare o derogare al criterio stesso.

Le considerazione sinora svolte conducono a ritenere fondate le censure in esame, in quanto sia la determinazione n. 3673 del 15.04.2008, sia la successiva determinazione n. 8633 del 02.10.2008, che – come già evidenziato – ha assorbito e sostituito il primo atto sulla base del riesame della fattispecie complessiva – sia il presupposto regolamento comunale n. 35 del 25.11.2003 e la delibera di Giunta n. 44 del 09.04.2008, violano la previsione dell’art. 3, comma 2 ter, del d.l.vo 1998 n. 109, atteso che non applicano, in relazione alla posizione del sig. BB XX, il criterio della evidenziazione della situazione economica del solo assistito che versi in condizioni di grave disabilità; del resto, è proprio il regolamento n. 35 del 25.11.2003 a prevedere l’applicazione dell’I.S.E.E. familiare, come regola generale, senza valorizzare la posizione del solo assistito in presenza di grave disabilità.

Insomma, nel caso di specie, la determinazione del riparto tra amministrazione ed utente delle quote del servizio di C.S.E. deve avvenire sulla base della situazione economica del solo assistito, a prescindere dal valore dell’I.S.E.E. familiare e da altri parametri non aderenti al criterio posto dall’art. 3, comma 2 ter, del d.l.vo 1998 n. 109.

Va, pertanto, ribadita la fondatezza del motivo in esame.

Di conseguenza, deve essere disposto l’annullamento sia delle note del Responsabile del servizio socio culturale del Comune di Oggiona con Santo Stefano n. 3673 del 15.04.2008 e n. 8633 del 02.10.2008, sia del regolamento approvato con D.C.C. n. 35 del 25.11.2003, nonché della delibera della Giunta Comunale n. 44 del 09.04.2008, nella parte in cui non fanno applicazione del criterio della evidenziazione della situazione economica del solo assistito che versi in condizione di grave disabilità, ai fini della determinazione della quota di costo posta a carico del disabile medesimo per la fruizione del servizio di inserimento in C.S.E..

5) La natura sostanziale della censura esaminata al punto sub 4 della motivazione consente di ritenere assorbite le ulteriori doglianze articolate nel ricorso.

In particolare, una volta chiarito che l’amministrazione dovrà rideterminarsi sulla base del criterio della situazione economica del solo assistito e non in applicazione del parametro dell’I.S.E.E. familiare, è evidente che è solo in sede di concreta applicazione di siffatto criterio che l’amministrazione potrà tenere conto di eventuali pensioni di invalidità ed indennità di accompagnamento percepite dal disabile, in ogni caso garantendo, in capo all’utente, la conservazione di un importo pari al 50% del reddito minimo di inserimento, importo cui si riferisce l’art. 24, comma 1, lett. g), della l. n. 328/2000 (cfr. sul punto si vedano, tra le altre, T.A.R. Lombardia Milano, sez. III, ord. 19.06.2008 n. 926/08; T.A.R. Lombardia Milano, sez. III, ord. 09.01.2009 n. 581/09).

In definitiva, il ricorso è parzialmente fondato e merita accoglimento nei limiti dianzi esposti.

La particolare complessità, sul piano fattuale e giuridico, della controversia in esame consente di ravvisare giusti motivi per compensare tra le parti le spese della lite.

Resta fermo l’onere di cui all’art. 13 del d.p.r. 30.05.2002 n. 115, nel testo integrato dal comma 6 bis dell’art. 21 del d.l. 223 del 2006, come modificato dalla legge di conversione n. 248 del 2006, a carico della parte soccombente.

P.Q.M.

Il T.A.R. Lombardia Milano, terza sezione, definitivamente pronunciando:

1) Dichiara il difetto di legittimazione dell’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali e per l’effetto ne dispone l’estromissione dal processo;

2) Accoglie in parte il ricorso e per l’effetto annulla, nei limiti di quanto esposto in motivazione:

– la nota del Responsabile del servizio socio culturale del Comune di Oggiona con Santo Stefano n. 8633 del 02.10.2008;

– la nota del Responsabile del servizio socio culturale del Comune di Oggiona con Santo Stefano n. 3673 del 15.04.2008;

– la Delibera del Consiglio Comunale del Comune di Oggiona con Santo Stefano n. 35 del 25.11.2003;

– la Delibera della Giunta Comunale del Comune di Oggiona con Santo Stefano n. 44 del 09.04.2008;

3) Compensa integralmente tra le parti le spese della lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 21/01/2010 con l’intervento dei Magistrati:

Domenico Giordano, Presidente

Raffaello Gisondi, Referendario

Fabrizio Fornataro, Referendario, Estensore

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE   DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 14/05/2010

Il Tar ha dato ragione alle famiglie!!

Come vi avevamo anticipato, il 13 gennaio il TAR ha esaminato il ricorso presentato dalle famiglie dei ragazzi disabili che chiedevano  più ore di sostegno per i loro figli. Infatti, il ricorso si è reso necessario a seguito dei tagli del ministero che,  abbattutisi pesantememte sugli insegnanti di sostegno,  hanno reso più difficile il processo d’integrazione dei ragazzi disabili. La sentenza positiva del Tar ha ristabilito il principio, affermato dalla costituzione, che il disabile ha diritto a ricevere un’istruzione adeguata. Diritto confermato anche nell’ultima sentenza della corte costituzionale che considera l’istruzione – educazione come diritto inalienabile  del disabile che, per nessuna ragione, tanto meno se finanziaria, può essere disatteso.

Rete Solidale ha affiancato le famiglie in questa battaglia e ringrazia quanti hanno contribuito a questa vittoria.

L’assistenza di base agli alunni disabili

Per fornire maggiori informazioni circa l’assistenza di base pubblichiamo integralmente la circolare  3390/01.

In essa sono definite le mansioni dei collaboratori scolastici relative all’assistenza di base, ” parte fondamentale del processo di integrazione scolastica la cui  concreta attuazione contribuisce a realizzare il diritto allo studio costituzionalmente garantito”.

Inoltre, nalla scheda A, contenuta nella circolare,  potrete consultare, sinteticamente,  la legislazione di riferimento relativa all’assistenza scolastica.

M.I.U.R.

Dipartimento per i servizi nel territorio Direzione generale per l’organizzazione dei servizi nel territorio Ufficio IV

Nota Prot. n.3390

Roma, 30 novembre 2001

Oggetto: assistenza di base agli alunni in situazione di handicap.

La presente nota, nell’obiettivo prioritario di assicurare il diritto allo studio dei soggetti disabili, intende fornire un quadro il più completo possibile della normativa e alcune indicazioni operative, al fine di dare garanzie agli alunni e alle loro famiglie, certezza al personale della scuola e ai dirigenti scolastici e, nello stesso tempo, finalizzare le iniziative di formazione previste per i collaboratori scolastici.
Com’è noto, l’assistenza di base agli alunni disabili è parte fondamentale del processo di integrazione scolastica e la sua concreta attuazione contribuisce a realizzare il diritto allo studio costituzionalmente garantito. L’assistenza di base, di competenza della scuola, va intesa come il primo segmento della più articolata assistenza all’autonomia e alla comunicazione personale prevista dall’art.13, comma 3, della legge 104/92.
Nel sistema vigente l’assistenza di base gestita dalle scuole è attività interconnessa con quella educativa e didattica: queste tre tipologie di azioni devono concorrere tutte insieme alla integrazione della persona disabile secondo un progetto unitario che vede coinvolti tutti gli operatori (dirigenti scolastici, docenti, collaboratori scolastici, genitori, tecnici della riabilitazione ecc.) in un unico disegno formativo che la norma definisce come Piano Educativo Individualizzato. Il PEI, a sua volta, si colloca all’interno della più generale progettualità delle scuole autonome che, ai sensi del DPR 275/99, sono tenute a redigere il Piano dell’Offerta Formativa (POF), nel quale sono indicati i criteri e le modalità organizzative dell’intero servizio formativo che ciascuna istituzione intende attuare, anche in relazione alle varie e diversificate esigenze degli alunni e delle famiglie.
Pertanto, in tale contesto, il collaboratore scolastico è parte significativa del processo di integrazione scolastica degli alunni disabili, partecipa al progetto educativo individuale dell’alunno e collabora con gli insegnanti e la famiglia per favorirne l’integrazione scolastica.
In relazione alle specifiche esigenze di assicurare un servizio qualificato, è prevista la partecipazione del personale ad appositi corsi di formazione. Ciò vale per tutto il personale che opera nella scuola a contatto con gli alunni con bisogni speciali, nell’ambito, tuttavia, delle competenze che si richiedono a ciascuna figura professionale.
Resta ovviamente confermato il principio che la responsabilità di predisporre le condizioni affinché tutti gli alunni, durante la loro esperienza di vita scolastica, dispongano di servizi qualitativamente idonei a soddisfare le proprie esigenze, è di ciascuna scuola, la quale, mediante i propri organi di gestione, deve adoperarsi attraverso tutti gli strumenti previsti dalla legge e dalla contrattazione, compresa la formazione specifica degli operatori, per conseguire l’obiettivo della piena integrazione degli alunni disabili.

Competenze dell’istituzione scolastica

Premesso che la scuola deve garantire l’assistenza di base agli alunni disabili, si evidenzia come, nelle diverse fasi contrattuali, le mansioni di assistenza sono state più volte modificate, anche in seguito al trasferimento del personale addetto a tali mansioni, dal comparto delle Autonomie Locali al comparto scuola e inserite con l’accordo relativo al secondo biennio economico siglato in data 15/2/2001 nel profilo professionale del collaboratore scolastico. Infatti la tabella D dell’accordo citato pone, tra le mansioni proprie del profilo di tutti i collaboratori scolastici, l’ausilio materiale agli alunni portatori di handicap nell’accesso dalle aree esterne alle strutture scolastiche e nell’uscita da esse, in cui è ricompreso lo spostamento nei locali della scuola.
Per quanto riguarda le attività di ausilio materiale agli alunni portatori di handicap per esigenze di particolare disagio e per le attività di cura alla persona ed ausilio materiale nell’uso dei servizi igienici e nella cura dell’igiene personale dell’alunno disabile, nelle scuole di ogni ordine e grado
,
tali mansioni rientrano tra le funzioni aggiuntive (allegato 6 punto 4 lettera b del CCNI e tabella D citata, ultimo capoverso), da assegnare prioritariamente per soddisfare tali esigenze e da remunerare con risorse contrattuali (Tabella D ultimo capoverso e Intesa MIUR-OO.SS del 9/11/2001).
A tal fine, il Dirigente scolastico dovrà attivare le procedure previste dall’articolo 50 e dall’allegato 7 del CCNI 98-01 per l’attribuzione delle funzioni aggiuntive sulla base delle domande presentate, tenendo conto anche di quanto previsto dall’Intesa citata, che individua come esigenza prioritaria l’assistenza agli alunni disabili.
Per assicurare l’attività di cura alla persona ed ausilio materiale agli alunni disabili, qualora il numero delle funzioni aggiuntive assegnate sia insufficiente, si dovrà procedere all’erogazione di specifici compensi, in base a quanto previsto dall’ultimo capoverso della TAB. D citata e dal punto 3 dell’Intesa sopra indicata.
Il dirigente scolastico, nell’ambito degli autonomi poteri di direzione, coordinamento e valorizzazione delle risorse umane, assicurerà in ogni caso il diritto all’assistenza, mediante ogni possibile forma di organizzazione del lavoro (nel rispetto delle relazioni sindacali stabilite dalla contrattazione), utilizzando a tal fine tutti gli strumenti di gestione delle risorse umane previsti dall’ordinamento.

Competenze dell’Ente Locale

L’obiettivo prioritario di garantire l’effettiva realizzazione dei servizi di integrazione scolastica per gli alunni disabili, si realizza anche attraverso la cooperazione dei vari soggetti istituzionali nelle rispettive aree di competenza, senza soluzione di continuità. Tale obiettivo va concretamente perseguito attraverso gli accordi di programma previsti dall’ art. 13, comma 1, lettera A, della l. 104/92, già in atto in modo efficace in molte realtà territoriali.
Essi dovranno costituire, in un sistema in cui l’integrazione del soggetto disabile è affidata a diversi centri di competenza e responsabilità, anche dopo l’attuazione del trasferimento di funzioni e compiti al sistema dei governi territoriali ai sensi del d. lgs.112/98, lo strumento più efficace per un’attività coordinata e finalizzata a garantire la realizzazione di progetti educativi, riabilitativi e di socializzazione.
Rimane all’Ente Locale il compito di fornire l’assistenza specialistica da svolgersi con personale qualificato sia all’interno che all’esterno della scuola, (Protocollo d’Intesa del 13/9/2001) come secondo segmento della più articolata assistenza all’autonomia e alla comunicazione personale prevista dall’art. 13, comma 3, della Legge 104/92, a carico degli stessi enti. Si tratta di figure quali, a puro titolo esemplificativo, l’educatore professionale, l’assistente educativo, il traduttore del linguaggio dei segni o il personale paramedico e psico-sociale (proveniente dalle ASL), che svolgono assistenza specialistica nei casi di particolari deficit.
Nulla esclude che tale servizio potrà essere assicurato anche attraverso convenzioni con le istituzioni scolastiche e conseguente congruo trasferimento delle risorse alla scuola, avvalendosi di personale interno (previa acquisizione della disponibilità) o esterno, nella logica degli accordi di programma territoriali previsti dalla Legge 104/92.
A tal fine sono in corso approfondimenti tecnici con il sistema delle Autonomie Locali per individuare strumenti idonei ed eventuali standard organizzativi e finanziari, su cui si forniranno ulteriori indicazioni.

Formazione

Negli ultimi anni il profilo del collaboratore scolastico è stato in parte ridisegnato in conseguenza della maggiore complessità organizzativa della scuola dovuta all’autonomia scolastica ed anche in seguito al passaggio del personale ATA dagli Enti Locali allo Stato. Pertanto, è necessario, considerata anche la delicatezza dei compiti connessi all’assistenza agli alunni disabili, che vengano organizzati corsi di formazione, secondo quanto previsto dal CCNI 1998-2001 art. 46, in materia di funzioni aggiuntive, individuando uno o più collaboratori scolastici per ognuna delle scuole con presenza di alunni in situazione di handicap, rilasciando ai frequentanti un attestato che potrà essere speso come credito professionale e formativo per le funzioni aggiuntive (Art. 44 CCNI).
Ciò potrà essere fatto ricorrendo ai finanziamenti previsti per la formazione in servizio del personale della scuola, anche in concorso con “reti territoriali” di scuole. Si auspica, infatti, che ciascuna istituzione scolastica autonoma, anche attraverso un piano pluriennale di formazione, sia in grado di dotarsi di un gruppo di collaboratori scolastici idonei ad assolvere le mansioni previste dall’assistenza di base agli alunni portatori di handicap, non solo nella situazione contingente delle presenza di tali allievi, ma anche nella prospettiva della accoglienza futura di alcuni di essi, in una logica di continuità del servizio. Il collaboratore scolastico parteciperà ai corsi di formazione previsti, sulla base della loro programmazione stabilita a livello territoriale. Si ricorda, al proposito, che i collaboratori scolastici provenienti dagli enti locali possono far valere i titoli dei corsi di formazione già frequentati, anche per effetto di precedenti contratti, al fine di espletare la funzione aggiuntiva. D’altra parte, di fronte alla necessità di individuare il personale da adibire alle mansioni in questione, il dirigente scolastico è tenuto a verificare se i dipendenti abbiano già svolto i corsi suddetti o altri equivalenti, in modo da garantire l’espletamento e la qualità del servizio di assistenza di base.
I fondi per la formazione dei collaboratori scolastici possono essere reperiti attingendo:

·  alle risorse finanziarie previste dalla Direttiva 143 dell’ 1/10/2001 sulla formazione;

·  alle risorse finanziarie provenienti dalla legge 440/1997 e destinate all’handicap, già ripartite tra gli Uffici Scolastici Regionali in base al numero degli alunni disabili, con nota n. 1370 del 9/11/2001 per un importo totale di L. 1.461.365.000 e finalizzate appositamente alla formazione dei collaboratori scolastici in relazione all’assistenza agli alunni disabili.
Si fa presente che le risorse di cui sopra potrebbero essere integrate con la quota parte del 10% destinata alla perequazione degli interventi formativi e della strumentazione didattica, già assegnata agli Uffici Scolastici Regionali con la C.M 139 del 13/9/2001.
Al fine di garantire omogeneità degli obiettivi formativi, si allega un prospetto che indica possibili standard di competenza per un qualificato esercizio della funzione di assistenza agli alunni disabili che i direttori generali regionali potranno utilizzare per l’attivazione dei corsi nel territorio di riferimento.

IL DIRETTORE GENERALE
Silvana Riccio

A Scheda analitica sulla normativa

SCHEDA  A)

I riferimenti normativi

I riferimenti normativi  per il profilo del collaboratore scolastico, rispetto all’assistenza agli alunni portatori di handicap sono:

–       DPR n° 616, 24 Luglio 1977, in materia di oneri a carico dell’ente locale per l’assistenza scolastica – Capo VI  degli artt. 42 e 45;

–       legge 104/ 92 art.13 Comma 1: “L’integrazione scolastica si realizza… anche attraverso: a) la programmazione coordinata dei servizi scolastici con quelli sanitari, socio-assistenziali, culturali, ricreativi, sportivi e con altre attività sul territorio gestite da Enti Pubblici o privati. A tale scopo gli Enti Locali, gli organi scolastici, e le unità sanitarie locali, nell’ambito delle rispettive competenze, stipulano gli accordi di programma di cui all’art. 27 della legge 142 dell’8/6/ 1990…; Comma 3) Nelle scuole di ogni ordine e grado, fermo restando ai sensi del DPR 616 e successive modificazioni, l’obbligo per gli Enti Locali di fornire l’assistenza per l’autonomia e la comunicazione personale degli alunni con handicap fisici o sensoriali, sono garantite attività di sostegno mediante l’assegnazione di docenti specializzati.”

–       d. lgs 112 del 31/03/98 art.139 comma 1 “Sono  attribuiti alle Province, in relazione all’istruzione secondaria superiore e ai Comuni, in relazione agli altri gradi inferiori di scuola, i compiti e le funzioni concernenti; …c) i servizi di supporto organizzativo del servizio di istruzione per gli alunni con handicap o in situazione di svantaggio”;

–       Legge 124 del 3 maggio 1999, art. 8: Trasferimento del personale ATA degli enti locali alle dipendenze dello Stato, comma 2: “il personale di ruolo di cui al comma 1,  dipendente dagli enti locali in servizio nelle istituzioni scolastiche statali alla data di entrata in vigore della presente Legge,  è trasferito nei ruoli del personale ATA statale ed è inquadrato nelle qualifiche funzionali e nei profili professionali corrispondenti per lo svolgimento dei compiti propri dei predetti profili.”

–       D.M 23/7/99  Art. 7 Trasferimento del personale ATA dagli Enti Locali allo Stato: “il personale che passa dagli Enti Locali allo Stato per effetto del presente decreto sarà tenuto anche al mantenimento di tutti i preesistenti compiti attribuiti, purchè previsti nel profilo statale”

–       Legge 328 dell’8/11/2000 legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali – Capo III art. 14

–       CCNL 1998/2001. Tabella A/1 Profilo del collaboratore scolastico. Indica tra le mansioni: “l’ausilio materiale agli alunni portatori di handicap nell’accesso alle aree esterne alle strutture scolastiche e  nell’uscita da esse. Può, infine, svolgere:  assistenza agli alunni portatori di handicap all’interno delle strutture scolastiche, nell’uso dei servizi igienici e nella cura dell’igiene personale”

–       Protocollo d’Intesa tra il Ministero P.I. con ANCI UPI UNCEM e OO.SS del 13 Settembre 2000; (art.2 punto B: “L’attività di assistenza ai disabili, di competenza della scuola, è assicurata dal personale ausiliario della scuola nei limiti di quanto previsto dal CCNL articolo 31 tab. A  Profilo A2 del collaboratore scolastico (Modificato dalla Tab. D del rinnovo del biennio economico). Restano invece nelle competenze dell’Ente Locale quei compiti di assistenza specialistica ai disabili da svolgersi con personale qualificato sia all’interno che all’esterno dell’istituzione scolastica.”).

–       CCNI 1998-2001 art. 46 – Formazione specialistica “ Per le attribuzioni delle funzioni aggiuntive di cui al successivo art.50 (L. 1.200.000 lorde annue per le funzioni aggiuntive del collaboratore scolastico) sono attivati adeguati percorsi di formazione. I corsi si concludono con un valutazione finale individuale volta a verificare la professionalità acquisita per l’assunzione di specifiche responsabilità. I corsi hanno la durata tra le 40 e le 80 ore in relazione ai profili. Sono attivati a livello provinciale con la previsione di formare, annualmente, almeno una persona per ogni istituzione scolastica per ciascuna delle funzioni descritte nell’allegato 6 (tra cui “l’attività di assistenza qualificata agli alunni portatori di handicap, fornendo altresì ausilio nell’accesso all’interno della struttura scolastica, nell’uso dei servizi igienici e nella cura dell’igiene personale”) in base ad un ordine di priorità stabilito dalle graduatorie di cui all’allegato 7.”;

–       Tab. D del contratto relativo al secondo biennio economico del 15/2/2001, Indica tra le mansioni del profilo del collaboratore ausiliario: “ausilio materiale agli alunni portatori di handicap nell’accesso dalle aree esterne alle strutture scolastiche e nell’uscita da esse. In relazione alle esigenze emergenti nel sistema formativo, con riguardo anche all’integrazione di alunni portatori di handicap  e alla prevenzione della dispersione scolastica, partecipa a specifiche iniziative di formazione e di aggiornamento. Vanno comunque garantite, anche attraverso particolari forme di organizzazione del lavoro e l’impiego di funzioni aggiuntive o l’erogazione di specifici compensi, le attività di ausilio materiale agli alunni portatori di handicap per esigenze di particolare disagio e per le attività di cura alla persona ed ausilio materiale ai bambini e alle bambine della scuola materna nell’uso dei servizi igienici e nella cura dell’igiene personale”

–       Ipotesi di accordo MPI – ARAN – OO.SS del 28/9/2001 ( in corso di perfezionamento) . “alla prima riga dell’ultimo capoverso del profilo del collaboratore scolastico ( tabella D citata) è soppressa la parola “anche” .

–       Intesa tra MIUR e le OO.SS  sulle funzioni aggiuntive del 9/11/2001 Punto 3: “Le funzioni aggiuntive assegnate alle scuole con presenza di alunni in situazione di handicap ed alle scuole materne, dovranno prioritariamente essere utilizzate per soddisfare tali esigenze. Qualora il numero delle funzioni aggiuntive attribuite sia insufficiente per garantire lo svolgimento di tali attività, si dovrà dare attuazione a quanto previsto dall’ultimo capoverso della TAB. D allegata al CCNL 15/3/2001 come modificata dall’art.4 dell’ipotesi di accordo ARAN – OO.SS del 28/9/2001”.

Voci precedenti più vecchie


I bambini giocano alla guerra.
E' raro che giochino alla pace
perché gli adulti
da sempre fanno la guerra,
tu fai pum e ridi;
il soldato spara
e un altro uomo
non ride più.
E' la guerra.

C'è un altro gioco
da inventare:
far sorridere il mondo,
non farlo piangere.

Pace vuol dire
che non a tutti piace
lo stesso gioco,
che i tuoi giocattoli
piacciono anche
agli altri bimbi
che spesso non ne hanno,
perché ne hai troppi tu;
che i disegni degli altri bambini
non sono dei pasticci;
che la tua mamma
non è solo tutta tua;
che tutti i bambini
sono tuoi amici.

E pace è ancora
non avere fame
non avere freddo
non avere paura


Bertold Brecht
Augusta 10 febbraio 1898
Berlino, 14 agosto 1956