La sentenza 1483 del Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia il 14 maggio 2010 ha stabilito che
nel caso di fruizione di prestazioni sociali agevolate di tipo socio assistenziali rivolte a soggetti con disabilità grave o ultrasessantacinquenni non autosufficienti la contribuzione al costo del servizio si deve riferire al solo reddito del richiedente la prestazione e non a quello del nucleo familiare. Nel caso preso in esame il Comune chiede di pagare la retta di compartecipazione per l’inserimento di un cittadino disabile grave in un centro socio educativo in relazione all’ISEE dell’intero nucleo familiare, così come prescritto nel Regolamento comunale. La famiglia ricorre in Tribunale per l’annullamento della delibera comunale che ha approvato il Regolamento.
Rispetto alle prestazioni sociali agevolate assicurate nell’ambito di percorsi assistenziali integrati di natura sociosanitaria, erogate a domicilio o in ambiente residenziale a ciclo diurno o continuativo rivolte ad handicappati gravi e anziani non autosufficienti, che integrino livelli essenziali di assistenza – i cosiddetti L.E.A. – secondo quanto definito dal D.P.C.M. 29.11.2001, il criterio di accesso e di parametrazione dei costi a carico del richiedente è rimesso alla definizione del legislatore statale. In tale ambito non vi è spazio per un’integrazione lasciata alle singole amministrazioni comunali, che non possono modificare o integrare, in mancanza di norme ad hoc, il criterio dettato in modo necessariamente uniforme dal legislatore statale.
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 2854 del 2008, proposto da:
XX AA e YY Ave, in proprio e nella qualità, rispettivamente di tutore e protutore di XX BB, rappresentati e difesi dagli Avv.ti Francesco Trebeschi e Cristina Tagliani, con domicilio eletto presso la Segreteria del Tribunale;
contro
Comune di Oggiona con Santo Stefano, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Fabio Corradi, presso il cui studio ha eletto domicilio, in Milano, Piazza Sant’Angelo n. 1;
nei confronti di
– Assemblea dei Sindaci Distretto Sociosanitario di Busto Arsizio, in persona del legale rappresentante pro tempore, ente capofila, Comune di Busto Arsizio, in persona del Sindaco pro tempore, non costituita;
– Regione Lombardia, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita;
– Autorità Garante per la protezione dei dati personali, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita;;
per l’annullamento
previa sospensione dell’efficacia,
-della nota del Responsabile del servizio socio culturale del Comune di Oggiona con Santo Stefano n. 8633 del 02.10.2008;
-della nota del Responsabile del servizio socio culturale del Comune di Oggiona con Santo Stefano n. 3673 del 15.04.2008
-della Delibera del Consiglio Comunale del Comune di Oggiona con Santo Stefano n. 35 del 25.11.2003;
-della Delibera della Giunta Comunale del Comune di Oggiona con Santo Stefano n. 44 del 09.04.2008;
-comunque delle delibere e dei provvedimenti con i quali il Comune di Oggiona con Santo Stefano e l’Assemblea dei Sindaci del Distretto sociosanitario di Busto Arsizio hanno determinato le modalità di partecipazione al costo del servizio C.D.D. o in generale dei servizi per disabili gravi;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Oggiona con Santo Stefano;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21/01/2010 il dott. Fabrizio Fornataro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
I ricorrenti hanno impugnato le determinazioni indicate in epigrafe, deducendone l’illegittimità per violazione di legge ed eccesso di potere sotto diversi profili.
Si è costituito in giudizio il Comune di Oggiona con Santo Stefano, eccependo l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso avversario.
Non si sono costituite in giudizio l’Assemblea dei Sindaci Distretto Sociosanitario di Busto Arsizio, la Regione Lombardia e l’Autorità Garante per la protezione dei dati personali.
Le parti costituite hanno prodotto memorie e documenti.
Con ordinanza n. 10/2009 datata 09.01.2009, il Tribunale ha accolto la domanda cautelare contenuta nel ricorso.
Con ordinanza n. 3065/09 datata 12.06.2009, il Consiglio di Stato ha respinto l’appello cautelare presentato dall’amministrazione
All’udienza del giorno 21.01.2010 la causa è stata trattenuta in decisione.
1) Dalle deduzioni articolate nel ricorso e nelle memorie difensive, nonché dalla documentazione versata in atti, emerge che il sig. XX AA è il padre e tutore del sig. BB XX, disabile in situazione di gravità inserito presso il Centro Socio Educativo (CSE) di Villa Colombo; presso tale Centro il sig. BB XX fruisce del servizio di assistenza dal lunedì al venerdì, dal mattino al primo pomeriggio.
Con nota del Responsabile del Servizio – Ufficio Servizi Sociali datata 15.04.2008 n. 3673, il Comune di Oggiona con Santo Stefano comunicava al sig. AA XX che la quota di compartecipazione prevista per l’anno in corso, in ordine al servizio di inserimento del figlio presso il C.S.E. di Villa Colombo, era pari ad Euro 462,28 mensili, con l’avviso che la somma sarebbe stata ridefinita in caso di comunicazione del valore dell’I.S.E.E. relativo al nucleo familiare del figlio, secondo quanto previsto dall’art. 9 del “regolamento per la realizzazione di interventi e per la fruizione di servizi in campo sociale”, approvato con D.C.C. n. 35 del 25.11.2003.
Il sig. AA XX, dapprima personalmente, con lettera trasmessa all’amministrazione in data 24.04.2008, poi con istanza presentata a mezzo del proprio difensore e datata 21.05.2008, chiedeva al Comune di riesaminare la determinazione assunta, facendo applicazione del criterio della evidenziazione della situazione economica del solo assistito, previsto in relazione alle persone con handicap grave dall’art. 3, comma 2 ter, del d.l.vo 1998 n.109.
Con atto del Responsabile del Servizio socio culturale – pubblica istruzione prot. n. 8633 del 02.10.2008, il Comune di Oggiona con Santo Stefano respingeva la richiesta avanzata dal sig. XX, sviluppando argomentazioni giuridiche e richiamando orientamenti giurisprudenziali in ordine all’impossibilità di fare immediata applicazione, in relazione al caso concreto, del criterio posto dall’art. 3, comma 2 ter, del d.l.vo 1998 n. 109.
Inoltre, l’atto indicato argomentava in ordine alla legittimità del presupposto regolamento comunale e, dopo avere respinto l’istanza, ribadiva la debenza delle somme determinate con la nota n. 3673 del 15.04.2008.
Va osservato che le determinazioni in questione si fondano sul regolamento approvato con deliberazione del Consiglio Comunale n. 35 del 25.11.2003, che, come puntualmente riferito dall’amministrazione resistente, prevede in via generale – senza dettare una diversa disciplina per gli utenti disabili gravi – che la valutazione della situazione economica ai fini dell’accesso e della compartecipazione al costo dei cittadini, con riferimento a prestazioni sociali agevolate non residenziali “ha luogo considerando il nucleo familiare di appartenenza individuato ai sensi dell’art. 2, commi 2 e 3, del d.l.vo 109/1998 nonché del D.P.C.M. 221/1999 e loro integrazioni e modificazioni”, con la precisazione che la situazione economica dei soggetti richiedenti prestazioni agevolate deve essere “determinata secondo i criteri di cui al d.lgs. 109/98 e s.m.i.”.
Inoltre, l’art. 9, comma 2, del regolamento dispone che “qualora l’utenza non produca la documentazione I.S.E.E. richiesta verrà applicata la tariffa massima prevista per il servizio erogato” (cfr. memoria dell’amministrazione depositata in data 11.01.2010 pag. 9).
Il Comune resistente specifica (cfr. memoria cit.) che con la successiva deliberazione della Giunta Comunale – parimenti impugnata – n. 44 del 09.05.2008, avente ad oggetto “Tariffe servizi sociali – Agevolazioni. Ricognizione anno 2008” l’amministrazione ha aggiornato, in base ai criteri normativi già riferiti, le tariffe agevolate per taluni servizi, compreso quello di inserimento in C.S.E., mediante la predisposizione di un’apposita tabella.
Avverso le determinazioni del Responsabile del servizio socio culturale del Comune di Oggiona con Santo Stefano n. 3673 del 15.04.2008 e n. 8633 del 02.10.2008, nonché avverso il regolamento approvato con D.C.C. n. 35 del 25.11.2003 e la Delibera della Giunta Comunale n. 44 del 09.04.2008, i ricorrenti hanno proposto l’impugnazione di cui si tratta.
2) Devono essere esaminate con precedenza le eccezioni di rito formulate dalle parti resistenti.
L’amministrazione lamenta la tardività dell’impugnazione, in quanto proposta dopo il decorso del termine di 60 giorni sia dalla pubblicazione del regolamento impugnato e della successiva deliberazione della Giunta Comunale – parimenti impugnata – n. 44 del 09.05.2008, sia dalla piena conoscenza della nota prot. n. 8633 del 02.10.2008.
L’eccezione non merita condivisione.
In primo luogo, va osservato che sia il regolamento impugnato sia la deliberazione n. 44/2008 non recano disposizioni immediatamente incidenti sulla sfera giuridica dei ricorrenti, trattandosi, rispettivamente, di un atto normativo e di un atto amministrativo generale la cui portata lesiva può manifestarsi solo mediante specifici atti applicativi, rivolti a destinatari determinati, adottati sulla base delle disposizioni in essi contenute.
Ne deriva che nel caso di specie la tempestività dell’impugnazione deve essere apprezzata in relazione alla piena conoscenza degli atti esecutivi che, nel caso di specie, hanno fatto applicazione delle disposizioni generali suindicate.
In relazione a tale profilo va osservato che la determinazione n. 8633 del 02.10.2008 non si è limitata a confermare i contenuti della determinazione n. 3673/2008, pur ribadendo la quantificazione dei costi in essa contenuta, ma, sulla base di una riesame della fattispecie complessiva, ha respinto l’istanza con la quale il ricorrente ha chiesto che la determinazione dei costi avvenisse sulla base del criterio posto dall’art. 3, comma 2 ter, del d.l.vo 1998 n. 109, sviluppando articolate argomentazioni giuridiche.
Del resto, è solo con questa determinazione che l’amministrazione ha argomentato in ordine ai criteri generali ritenuti applicabili al caso di specie, senza limitarsi ad una mera quantificazione dei costi.
Insomma, la deliberazione n. 8633, per il suo contenuto specifico, assorbe e sostituisce – in conseguenza di un riesame della fattispecie complessiva conseguente ad un’istanza dell’interessato – la precedente determinazione n. 3673/2008, ponendosi come nuovo atto regolativo del caso concreto, dotato di autonoma attitudine lesiva e suscettibile di autonoma impugnazione, anche in relazione alle illegittimità correlate al contenuto del regolamento e dell’atto generale ad essa presupposti e di cui ha fatto applicazione.
D’altro canto, il ricorso di cui si tratta è stato spedito per la notificazione in data 09.12.2008, ma l’amministrazione resistente non documenta in alcun modo che la piena conoscenza dell’atto da parte dei ricorrenti sia avvenuta prima di 60 giorni dalla presentazione dell’impugnazione, mentre è del tutto pacifico in giurisprudenza il principio a mente del quale è la parte che eccepisce la tardività dell’impugnazione a dovere provare quando si è verificata la piena conoscenza dell’atto impugnato.
Va, pertanto, ribadita l’infondatezza dell’eccezione di cui si tratta.
3) Deve essere rilevato d’ufficio il difetto di legittimazione, nel presente giudizio, dell’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali.
Invero, tale soggetto non è parte resistente, perché ad essa non è riconducibile il provvedimento impugnato, né ha posto in essere provvedimenti prodromici ad esso.
Del resto, l’Autorità non assume neppure la qualifica di controinteressato, atteso che il provvedimento impugnato non gli arreca alcun vantaggio giuridicamente rilevante.
Priva di rilevanza è anche la qualificazione dell’Autorità come cointeressata, secondo quanto prospettato nel ricorso, sia perché l’Autorità non è pregiudicata dal provvedimento impugnato e quindi non è un soggetto cointeressato, sia perché, anche ad accedere alla tesi delle ricorrenti, il cointeressato ha titolo per partecipare al giudizio promosso avverso un provvedimento che lo lede direttamente solo impugnandolo nel rispetto dei termini perentori stabiliti dalla legge.
Va, pertanto, ribadito che l’Autorità non è portatrice di situazioni giuridiche soggettive che giustifichino la sua partecipazione al giudizio e, di conseguenza, ne va disposta l’estromissione dal processo.
4) Con il primo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 3, comma 2 ter, del d.l.vo 1998 n. 109 nella parte in cui impone di evidenziare la situazione economica del solo assistito, con riferimento alla ripartizione dei costi per le prestazioni socio sanitarie erogate nei confronti di persone colpite da handicap grave.
Il motivo è fondato.
Preliminarmente, va osservato che non merita condivisione l’argomentazione sviluppata dall’amministrazione secondo la quale il riferimento alla disciplina correlata all’erogazione di prestazioni socio sanitarie non sarebbe rilevante nel caso di specie, in quanto l’istituto Villa Colombo, frequentato dal sig. BB XX, essendo un Centro Socio Educativo (C.S.E.) e non un Centro Diurno integrato per persone Disabili (C.D.D.), potrebbe erogare un servizio solo socio educativo o socio animativo, ma non socio sanitario.
Al di là della circostanza che l’amministrazione si limita a sviluppare delle considerazioni correlate in generale alla funzione dei C.S.E. senza dimostrare il carattere non socio sanitario delle prestazioni fornite nel caso concreto dall’istituto di Villa Colombo, occorre rilevare che la ricostruzione operata dal Comune non corrisponde ai contenuti del piano socio sanitario regionale, cui pure l’amministrazione fa riferimento.
Invero, tale piano – approvato con delibera del Consiglio Regionale della Lombardia n. IV 871 datato 23.12.1987 (cfr. doc 11 di parte ricorrente) – prevede espressamente all’art. 6 quali siano le funzioni dei C.S.E., precisando che essi esercitano anche “funzioni sanitarie, costituite dalle attività riabilitative e terapeutiche mirate, che devono essere specifiche e di carattere specialistico differenziate a seconda delle esigenze e dei bisogni dei singoli soggetti ed individuate sulla base degli esami diagnostico-prognostici e delle prescrizioni-programmi terapeutici corrisposti dagli specialisti dell’équipe”
Ne deriva che la tesi dell’amministrazione è smentita dal contenuto del piano regionale, mentre merita condivisione la riconduzione della fattispecie in esame a prestazioni di natura socio sanitaria, secondo quanto dedotto dalle parti ricorrenti.
La trattazione della censura in esame rende opportuna la ricostruzione del quadro normativo in cui si colloca la disposizione invocata dal ricorrente, al fine di valutarne l’immediata precettività, anche alla luce dei diversi orientamenti sviluppati in ambito giurisprudenziale.
4.1) Il d.l.vo 1998 n. 109 introduce l’I.S.E.E. come criterio generale di valutazione della situazione economica delle persone che richiedono prestazioni sociali agevolate e l’applicazione di tale parametro comporta che la condizione economica del richiedente sia definita in relazione ad elementi reddituali e patrimoniali del nucleo familiare cui egli appartiene.
Rispetto a particolari situazioni, il decreto n. 109 prevede però l’utilizzo di un diverso parametro, basato sulla situazione del solo interessato.
In particolare, l’art. 3, comma 2 ter – come modificato dall’art. 3, comma 4, D.L.vo 3 maggio 2000, n. 130 – stabilisce che “limitatamente alle prestazioni sociali agevolate assicurate nell’ambito di percorsi assistenziali integrati di natura sociosanitaria, erogate a domicilio o in ambiente residenziale a ciclo diurno o continuativo, rivolte a persone con handicap permanente grave, di cui all’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, accertato ai sensi dell’articolo 4 della stessa legge, nonché a soggetti ultra sessantacinquenni la cui non autosufficienza fisica o psichica sia stata accertata dalle aziende unità sanitarie locali, le disposizioni del presente decreto si applicano nei limiti stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta dei Ministri per la solidarietà sociale e della sanità. Il suddetto decreto è adottato, previa intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, al fine di favorire la permanenza dell’assistito presso il nucleo familiare di appartenenza e di evidenziare la situazione economica del solo assistito, anche in relazione alle modalità di contribuzione al costo della prestazione, e sulla base delle indicazioni contenute nell’atto di indirizzo e coordinamento di cui all’articolo 3-septies, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni”.
La norma presenta un ambito di riferimento ben delimitato, in quanto: 1) riguarda solo persone con handicap permanente grave, accertato ai sensi degli artt. 3, comma 3, e 4 della legge 1992, n. 104, nonché i soggetti ultra sessantacinquenni la cui non autosufficienza fisica o psichica sia stata accertata dalle A.S.L.; 2) si riferisce solo alle prestazioni inserite in percorsi integrati di natura sociosanitaria, erogate a domicilio o in ambiente residenziale, di tipo diurno oppure continuativo.
In relazione a tali situazioni la disposizione prevede che debba essere evidenziata la situazione economica del solo assistito, anche per ciò che attiene alle modalità di contribuzione al costo della prestazione.
Vale ricordare che in quest’ultimo ambito la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni è avvenuta con il D.P.C.M. 29 novembre 2001 – adottato sulla base dell’art. 6 del decreto-legge 18 settembre 2001, n. 347 recante interventi urgenti in materia di spesa sanitaria, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 16 novembre 2001, n. 405 – che elenca una serie di prestazioni che devono essere assicurate sull’intero territorio nazionale.
Tra queste (cfr. tabella 1 C del D.P.C.M. 29 novembre 2001, che esplicitamente riguarda le tipologie erogative di carattere socio sanitario, nonché quelle sanitarie di rilevanza sociale, ovvero le prestazioni nelle quali la componente sanitaria e quella sociale non risultano operativamente distinguibili) vengono comprese le attività di assistenza territoriale a favore di persone anziane e persone diversamente abili, attività che comprendono, a seconda dei casi, prestazioni diagnostiche, terapeutiche e socio-riabilitative in regime domiciliare, semiresidenziale e residenziale (cfr. sulla funzione del D.P.C.M. rispetto alla definizione dei livelli essenziali di assistenza ai sensi dell’art. 117, comma 2 lett. m), Cost., si consideri Corte costituzionale, 27 marzo 2003, n. 88).
D’altro canto, come già ricordato, la norma in esame specifica che, nei confronti delle categorie di persone considerate, le disposizioni del decreto legislativo n. 109 si applicano nei limiti stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, da adottare previa intesa con la Conferenza unificata, con la specificazione della duplice finalità da perseguire consistente sia nel favorire la permanenza dell’assistito presso il nucleo familiare di appartenenza, sia di evidenziare la situazione economica del solo assistito.
Il riferimento all’emanazione di un apposito D.P.C.M., per stabilire i limiti di applicazione del decreto nei confronti di disabili gravi e anziani non autosufficienti, pone il problema della immediata applicabilità della norma nella parte in cui prevede che, in tali casi, si debba evidenziare la situazione economica del solo assistito e non più del suo nucleo familiare, secondo l’ordinario parametro I.S.E.E..
Sul punto si sono sviluppati tre orientamenti interpretativi.
Il primo esclude l’immediata applicabilità del principio, in quanto a) è la stessa disposizione che subordina l’applicazione ad un apposito D.P.C.M., sicché il comma 2 ter integra una norma di mero indirizzo; b) il riferimento della norma alla situazione economica del solo assistito si accompagna al contestuale richiamo alla necessità di favorire la permanenza dell’assistito medesimo presso il nucleo familiare di origine, di modo che la realizzazione del primo risultato non può prescindere da quella del secondo; c) il comma 2 ter richiede che il D.P.C.M. sia adottato previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni unificata con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, ex art. 8 D.Lgs. n. 281/97 e ciò conferma l’efficacia non immediatamente precettiva della disposizione, in linea sia con le prerogative costituzionalmente riconosciute a Regioni ed autonomie locali in una materia che ne vede coinvolti gli interessi, sia con il principio della leale collaborazione che informa i rapporti tra i diversi livelli di Governo dopo la riforma del Titolo V Cost. (cfr. Tar Toscana, sez. II, 25 agosto 2009, n. 1409; C.d.S., sez. III, parere del 24 marzo 2009, n. 569/2009).
Il secondo orientamento ritiene, invece, che la norma in esame introduca un principio giuridico sufficientemente preciso, tale da vincolare l’amministrazione anche in assenza del decreto di attuazione del Presidente del Consiglio.
In particolare si considera che “nelle situazioni di maggiore difficoltà come quelle che investono i soggetti diversamente abili le regole ordinarie dell’I.S.E.E. incontrano una deroga necessaria, dovendo obbedire alla prioritaria esigenza di facilitare il protrarsi della loro permanenza nel nucleo familiare ospitante: tale obiettivo è perseguito attraverso l’evidenziazione della situazione economica del solo assistito, anche in relazione al concorso alle spese dovute per i servizi fruiti”.
Nondimeno, secondo questa impostazione la regola della evidenziazione della situazione economica del solo assistito non va intesa in senso assoluto ed incondizionato, ma lascia alle amministrazioni locali la facoltà di “ricercare soluzioni concrete in sede di individuazione dei criteri di compartecipazione ai costi dei Centri frequentati”.
In particolare si ritiene che “il dato letterale di riferimento sembra fornire indicazioni in tal senso quando afferma che l’applicazione dei principi sull’I.S.E.E. è limitata ad ipotesi circoscritte, individuate con il decreto che deve (o avrebbe dovuto) riconoscere un rilievo predominante alla situazione economica del solo assistito nell’ottica di facilitare la sua convivenza con il nucleo familiare. Al riguardo non sembra condivisibile una lettura della seconda parte del comma 2-ter tesa a riconoscere un principio assoluto ed incondizionato, mentre al D.P.C.M. sarebbe demandata la funzione, esclusiva ed eventuale, di limitarne la portata. Da una lettura complessiva emerge viceversa che la disposizione affida all’autorità statale, in via contestuale, sia il compito di raggiungere il delineato obiettivo a favore dei soggetti tutelati sia la determinazione dei limiti residuali entro i quali l’I.S.E.E. familiare può comunque trovare applicazione: spetta in altre parole al Presidente del Consiglio dare attuazione al principio e delimitarne la portata, individuando le ipotesi marginali nelle quali può riespandersi la disciplina generale dell’I.S.E.E. familiare. In assenza del suddetto decreto, pare evidente che la proposizione normativa – come già detto immediatamente precettiva – debba essere nella sua globalità tradotta in scelte concrete dalle amministrazioni titolari delle funzioni amministrative in materia di interventi sociali sul territorio” (cfr. T.A.R. Lombardia Brescia, sez. I, 02 aprile 2008, n. 350; T.A.R. Lombardia Brescia, sez. II, 13 luglio 2009, n. 1470; T.A.R. Lombardia Brescia, sez. II, 14 gennaio 2010, n. 18).
Viceversa il terzo orientamento considera che la regola della evidenziazione della situazione economica del solo assistito, rispetto alle persone con handicap permanente grave e ai soggetti ultra sessantacinquenni la cui non autosufficienza fisica o psichica sia stata accertata dalle aziende unità sanitarie locali, integra un criterio immediatamente applicabile ai fini della fruizione di prestazioni afferenti a percorsi assistenziali integrati di natura sociosanitaria, erogate a domicilio o in ambiente residenziale a ciclo diurno o continuativo, senza lasciare spazio normativo alle amministrazioni locali (cfr. Tar Lombardia Milano, sez. III, ordinanza 08 maggio 2009 n. 581; Tar Lombardia Milano, sez. III, ordinanza 08 maggio 2009 n. 582; Tar Lombardia Milano, sez. IV, 10 settembre 2008 n. 4033; T.A.R. Sardegna Cagliari, sez. I, 24 ottobre 2009, n. 1562; Tar Marche Ancona, sez. I, ordinanza 27 settembre 2007 n. 521; Tar Sicilia Catania, 11 gennaio 2007 n. 42).
4.2) Il Tribunale ritiene di dover confermare la propria adesione a quest’ultimo orientamento interpretativo.
In generale va osservato che la materia dei servizi sociali non è elencata né nell’art. 117, comma 2, Cost., relativo agli ambiti di legislazione statale esclusiva, né nel comma 3 del medesimo art. 117, relativo agli ambiti di legislazione regionale concorrente – tra i quali va invece compresa la “tutela della salute” – sicché l’ambito dei servizi sociali va ricondotto alle materie di legislazione esclusiva regionale, ai sensi del comma 4 dell’art. 117 Cost., ove si prevede che spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato (cfr. Corte Cost., 30 aprile 2009, n. 124).
Il giudice costituzionale ha precisato che, anche a seguito della riforma del titolo V, resta fermo che per la delimitazione della nozione di “servizi sociali” è necessario fare riferimento, in primo luogo, alla legge 8 novembre 2000, n. 328 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali), la quale, all’art. 1, comma 1, nel fissare i principi generali e la finalità perseguite, afferma che “la Repubblica assicura alle persone e alle famiglie un sistema integrato di interventi e servizi sociali, promuove interventi per garantire la qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione e diritti di cittadinanza, previene, elimina o riduce le condizioni di disabilità, di bisogno e di disagio individuale e familiare, derivanti da inadeguatezza di reddito, difficoltà sociali e condizioni di non autonomia, in coerenza con gli articoli 2, 3 e 38 della Costituzione”.
Il comma 2 del medesimo articolo precisa che per “interventi e servizi sociali si intendono tutte le attività previste dall’articolo 128 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112” (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni e agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59).
Il richiamato decreto legislativo n. 112 del 1998, agli artt. da 128 a 134, disciplina le funzioni e i compiti amministrativi relativi alla materia dei servizi sociali e, al comma 2 dell’art. 128, specifica che con tale nozione si intendono tutte le attività relative alla predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti e a pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno o di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario, nonché quelle assicurate in sede di amministrazione della giustizia.
La Corte Costituzionale ha messo in luce l’esistenza di un “nesso funzionale tra i servizi sociali, quali che siano i settori di intervento (ad esempio famiglia, minori, anziani, disabili) e la rimozione o il superamento di situazioni di svantaggio o di bisogno, per la promozione del benessere fisico e psichico della persona” (cfr. Corte costituzionale, 28 luglio 2004, n. 287).
La materia dei servizi sociali si presta però ad interferenze da parte del legislatore statale, in esercizio della competenza che gli spetta in via esclusiva in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, ai sensi dell’art. 117, comma 2 lett. m), Cost.; in particolare, la competenza esclusiva in quest’ultima materia attribuisce al legislatore statale un fondamentale strumento per garantire il mantenimento di un’adeguata uniformità di trattamento sul piano dei diritti di tutti i soggetti, pur in un sistema caratterizzato da un livello di autonomia regionale e locale decisamente accresciuto.
La Corte Costituzionale ha posto in luce che la conseguente forte incidenza sull’esercizio delle funzioni nelle materie assegnate alle competenze legislative ed amministrative delle Regione e delle Province autonome impone evidentemente che queste scelte, almeno nelle loro linee generali, siano operate dallo Stato con legge, che dovrà inoltre determinare adeguate procedure e precisi atti formali per procedere alle specificazioni ed articolazioni ulteriori che si rendano necessarie nei vari settori (cfr. Corte costituzionale, 27 marzo 2003, n. 88).
Ne deriva che nella materia in esame la competenza legislativa esclusiva delle Regioni incontra comunque il limite della disciplina dettata dal legislatore statale nella determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, che anche in tale ambito devono essere assicurati.
Occorre, però, precisare che la determinazione di siffatti livelli non comprende solo la specificazione delle attività e dei servizi da erogare, in quanto è del tutto coerente ritenere che anche la definizione dei criteri di accesso a questi benefici integri un livello essenziale di prestazioni da garantire in modo uniforme sull’intero territorio nazionale.
In particolare, se la legge considera una certa attività o un determinato servizio di natura essenziale, imponendone l’erogazione in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, la realizzazione di questo obiettivo postula che tutti gli interessati possano accedere in condizioni di parità a simili prestazioni.
Pertanto, è necessario che il criterio in forza del quale vengono selezionati i soggetti destinatari di prestazione ritenute essenziali dal legislatore statale sia definito una volta per tutte proprio dal legislatore statale, in quanto esprime, a sua volta, un livello essenziale di prestazione da garantire in modo uniforme sul territorio nazionale.
In altre parole, il criterio di individuazione dei soggetti aventi diritto a prestazioni ritenute essenziali dalla legge statale non può essere diverso da un territorio regionale all’altro, in quanto ciò provocherebbe un diverso trattamento tra persone oggettivamente nelle stesse condizioni, sicché, pure a parità di condizioni, la stessa prestazione, essenziale in base alla legge, sarebbe accessibile per alcuni e non per altri.
Diversamente opinando si renderebbe inutile l’individuazione stessa di determinati servizi ed attività come prestazioni essenziali, da garantire in quanto tali in modo omogeneo ed uniforme su tutto il territorio nazionale, atteso che tale esigenza di uniformità sarebbe vanificata dalla possibilità di introdurre diversi criteri di accesso alle prestazioni.
Va, pertanto, ribadito che i criteri stabiliti dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, essendo funzionali all’accesso alle attività e ai servizi essenziali delineati dalla legge 2000 n. 328 (sul punto si richiama ancora l’art. 25 della legge n. 328), sono preordinati al mantenimento di livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che debbono essere garantiti su tutto il territorio nazionale ai sensi e per gli effetti dell’articolo 117, comma 2 lettera m), Cost., sicché integrano essi stessi un livello essenziale di prestazione, la cui definizione spetta al legislatore statale (cfr. simili conclusioni sono coerenti con le considerazioni svolte da C.d.S., sez. cons. atti norm., 29 agosto 2005, n. 4699/03, nonché C.d.S., sez. V, ord. 14 settembre 2009, n. 4582).
Naturalmente spetta al legislatore statale stabilire anche il limite entro il quale l’individuazione di un criterio selettivo integra un livello essenziale delle prestazioni, nel senso che non è da escludere che il legislatore nazionale, una volta fissato il criterio fondamentale, riconosca alle Regioni uno spazio di intervento destinato a rendere coerente l’uniformità del criterio con le specificità delle singole realtà territoriali.
E’ evidente che eventuali regole di accesso ai servizi lasciate al legislatore regionale, o alla potestà amministrativa degli enti locali, nei termini ora precisati, non integrano livelli essenziali delle prestazioni, ma sono solo strumenti di adeguamento locale del criterio fissato in modo omogeneo ed uniforme dal legislatore statale.
4.3) Il dato normativo conduce, quindi, a ritenere che la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni è rimessa, anche nella materia de qua, al legislatore statale e che la definizione dei criteri per l’accesso alle prestazioni di cui si tratta integra un livello essenziale, la cui definizione spetta al legislatore statale, in quanto se determinate attività e determinati servizi devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale è necessario che anche i parametri di accesso ai medesimi siano uniformi.
Ne deriva che rispetto alle prestazioni sociali agevolate assicurate nell’ambito di percorsi assistenziali integrati di natura sociosanitaria, erogate a domicilio o in ambiente residenziale a ciclo diurno o continuativo rivolte ad handicappati gravi e anziani non autosufficienti, che integrino livelli essenziali di assistenza – c.d. L.E.A. – secondo quanto definito dal D.P.C.M. 29.11.2001, il criterio di accesso e di parametrazione dei costi a carico del richiedente è rimesso alla definizione del legislatore statale.
In tale ambito non vi è spazio per un’integrazione lasciata alle singole amministrazioni comunali, che non possono modificare o integrare, in mancanza di norme ad hoc, il criterio dettato in modo necessariamente uniforme dal legislatore statale.
Invero, va ribadito che in relazione alle materie di legislazione statale esclusiva, come la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, anche il potere regolamentare spetta allo Stato, ex art. 117, comma 6, Cost., salva la possibilità di delegarlo alle Regioni, delega che non sussiste nella materia in esame.
Proprio l’attribuzione allo Stato del potere regolamentare esclude la configurabilità di un potere normativo di secondo grado in capo agli Enti locali, in ordine alla definizione del criterio di valutazione della situazione economica da applicare nei confronti di disabili gravi e anziani non autosufficienti, ai fini dell’erogazione di prestazioni sociali agevolate.
Del resto, occorre precisare che l’art. 3 del d.l.vo 1998 n. 109, nella parte in cui riserva uno spazio di disciplina agli enti locali in sede di definizione dei parametri per l’accesso ai servizi, stabilendo che essi possono prevedere accanto all’indicatore della situazione economica equivalente “criteri ulteriori di selezione dei beneficiari” va inteso nel senso che consente di attribuire rilevanza a fattori diversi da quelli reddituali o patrimoniali, per i quali il limite della rilevanza è stato definito dal legislatore statale in sede di determinazione, in generale, del parametro I.S.E.E. e, rispetto a anziani non autosufficienti ed handicappati gravi, mediante la valorizzazione della situazione economica del solo assistito (cfr. in argomento Tar Lombardia Milano, sez. I, 07 febbraio 2008 n. 303; T.A.R. Lombardia Brescia, sez. I, 02 aprile 2008 , n. 350; Tar Umbria, 06 febbraio 2002, n. 271).
Quanto alla diretta applicabilità della regola dell’evidenziazione del situazione economica del solo assistito, va osservato, in primo luogo, che, trattandosi di un livello essenziale di prestazione, la definizione di tale criterio è necessariamente riservata al legislatore statale, in base al vigente art. 117 Cost..
Parimenti spetta al legislatore statale stabilire entro quali limiti tale criterio vada applicato, nel senso che esigenze e situazioni ulteriori possono rendere opportuno il ripristino del criterio dell’I.S.E.E. familiare, come criterio generale di accesso alle prestazioni di cui al decreto legislativo 1998 n. 109; criterio che, come tale, integra già un livello essenziale di prestazioni, secondo quanto già evidenziato.
Tale considerazione consente di definire la portata dell’art. 3, comma 2 ter, del d.l.vo 1998 n. 109, nella parte in cui rimette ad un apposito D.P.C.M. la determinazione dei limiti di applicabilità del d.l.vo nei confronti delle categorie in esame “al fine di favorire la permanenza dell’assistito presso il nucleo familiare di appartenenza e di evidenziare la situazione economica del solo assistito, anche in relazione alle modalità di contribuzione al costo della prestazione”.
La disposizione rimette ad un apposito D.P.C.M. la possibilità di valorizzare peculiari situazioni sociali, ambientali o familiari, tali da giustificare limiti all’applicabilità delle norme del decreto legislativo ed in particolare al criterio della situazione economica del solo assistito, qualora ciò sia funzionale a favorire la permanenza dell’utente presso il nucleo familiare di appartenenza.
In particolare, spetta al D.P.C.M. stabilire quali siano le fattispecie particolari nelle quali la permanenza presso il nucleo familiare di persone handicappate gravi o di anziani non autosufficienti è favorita mediante l’applicazione del criterio I.S.E.E. in luogo del criterio fondato sulla situazione economica del solo assistito (in senso conforme, in relazione al ruolo del D.P.C.M. si vedano: T.A.R. Lombardia Brescia, sez. II, 13 luglio 2009, n. 1470; T.A.R. Lombardia Brescia, sez. II, 14 gennaio 2010 n. 18).
Tale profilo, coinvolgendo ampie valutazioni incide direttamente sulle modalità di erogazione dei servizi sociali – materia di competenza regionale esclusiva – e questo spiega perché la norma prescriva il necessario coinvolgimento delle amministrazioni regionali, attraverso lo strumento dell’intesa in sede di conferenza unificata, in applicazione del principio di leale collaborazione (in ordine al quale si vedano, tra le altre, Corte Cost., 8 giugno 2005, n. 222 e Corte Cost., 1 ottobre 2003, n. 303).
Tuttavia, queste ulteriori specificazioni non incidono sul contenuto del criterio, di tipo individualistico, prescelto dal legislatore statale nei confronti delle categorie di persone di cui si tratta; criterio che è già sufficientemente precisato dal legislatore e risulta, nella sua oggettività, immediatamente applicabile.
In altre parole, il D.P.C.M. non è destinato ad incidere sulla struttura del criterio prescelto dal legislatore, ma solo a limitarne in determinati casi l’applicazione in favore del criterio generale dell’I.S.E.E. e la configurabilità di eccezioni alla regola generale per la fruizione dei servizi, sulla base di ulteriori valutazioni, non osta all’immediata applicabilità della regola stessa.
Va ribadito che la possibilità di individuare eccezioni al parametro della situazione economica del solo assistito non lascia spazio ad un potere regolamentare degli enti locali, in quanto, come già evidenziato, la definizione del criterio di capacità economica da utilizzare ai fini dell’erogazione di prestazioni sociali agevolate attiene ai livelli essenziali di prestazioni, la cui determinazione è riservata al legislatore statale, senza spazi per un potere normativo degli enti locali.
Pertanto, non è condivisibile la tesi secondo la quale, in assenza del suddetto decreto, la norma in esame consentirebbe l’effettuazione di scelte concrete da parte delle amministrazioni titolari delle funzioni amministrative in materia di interventi sociali sul territorio, in quanto implica l’attribuzione ai Comuni di un potere regolamentare in assenza di una specifica norma di legge e, comunque, al di fuori del riparto costituzionale del potere normativo di secondo grado, stabilito dall’art. 117, comma 6, Cost..
Con particolare riferimento alla posizione delle persone colpite da disabilità va osservato che non solo il quadro costituzionale, ma anche l’interpretazione sistematica con le norme di derivazione internazionale conduce a ritenere immediatamente applicabile il criterio di cui si tratta, che sottende la valorizzazione del disabile come persona autonoma e non solo come componente di un particolare nucleo familiare.
In tal senso, occorre fare riferimento alla legge 3 marzo 2009 n. 18 che ha ratificato la Convenzione di New York del 13 dicembre 2006 sui “diritti delle persone con disabilità”.
La giurisprudenza ha già sottolineato che la Convenzione si basa sulla valorizzazione della dignità intrinseca, dell’autonomia individuale e dell’indipendenza della persona disabile (cfr. tra le altre T.A.R. Lombardia Brescia, sez. II, 13 luglio 2009, n. 1470).
Sul punto è sufficiente ricordare che l’art. 3 della Convenzione, dopo avere considerato nel preambolo, tra l’altro, che “la maggior parte delle persone con disabilità vive in condizioni di povertà”, con conseguente “necessità di affrontare l’impatto negativo della povertà sulle persone con disabilità”, individua come principi generali “il rispetto per la dignità intrinseca, l’autonomia individuale, compresa la libertà di compiere le proprie scelte, e l’indipendenza delle persone” con disabilità.
In tale contesto è significativo che, in relazione al diritto alla salute delle persone disabili, l’art. 25 stabilisca che “Gli Stati Parti adottano tutte le misure adeguate a garantire loro l’accesso a servizi sanitari che tengano conto delle specifiche differenze di genere, inclusi i servizi di riabilitazione. In particolare, gli Stati Parti devono: (a) fornire alle persone con disabilità servizi sanitari gratuiti o a costi accessibili, che coprano la stessa varietà e che siano della stessa qualità dei servizi e programmi sanitari forniti alle altre persone, compresi i servizi sanitari nella sfera della salute sessuale e riproduttiva e i programmi di salute pubblica destinati alla popolazione”
Quindi la Convenzione impone di tutelare i diritti del soggetto disabile, anche in ambito sanitario, valorizzando la sua dignità intrinseca, la sua autonomia individuale ed indipendenza, anche quando egli individualmente considerato versi in precarie condizioni economiche.
Insomma, la disciplina internazionale impone agli Stati aderenti un dovere di solidarietà nei confronti dei disabili, in linea con i principi costituzionali di uguaglianza e di tutela della dignità della persona, che nel settore specifico rendono doveroso valorizzare il disabile di per sé, come soggetto autonomo, a prescindere dal contesto familiare in cui è collocato, anche se ciò può comportare un aggravio economico per gli enti pubblici.
I principi della Convenzione supportano, in relazione alla posizione delle persone disabili, la tesi dell’immediata applicabilità del comma 2 ter dell’art. 3 del d.l.vo 1998 n. 109 nella parte in cui introduce il criterio fondato sulla situazione economica del solo assistito, trattandosi di un parametro che riflette proprio l’esigenza di considerare in modo autonomo ed individuale i soggetti disabili ai fini dell’erogazione di prestazioni sociali agevolate.
Va, pertanto, ribadito che il criterio in questione è immediatamente applicabile, mentre gli Enti locali non dispongono di poteri normativi di secondo grado che consentano di modificare, integrare o derogare al criterio stesso.
Le considerazione sinora svolte conducono a ritenere fondate le censure in esame, in quanto sia la determinazione n. 3673 del 15.04.2008, sia la successiva determinazione n. 8633 del 02.10.2008, che – come già evidenziato – ha assorbito e sostituito il primo atto sulla base del riesame della fattispecie complessiva – sia il presupposto regolamento comunale n. 35 del 25.11.2003 e la delibera di Giunta n. 44 del 09.04.2008, violano la previsione dell’art. 3, comma 2 ter, del d.l.vo 1998 n. 109, atteso che non applicano, in relazione alla posizione del sig. BB XX, il criterio della evidenziazione della situazione economica del solo assistito che versi in condizioni di grave disabilità; del resto, è proprio il regolamento n. 35 del 25.11.2003 a prevedere l’applicazione dell’I.S.E.E. familiare, come regola generale, senza valorizzare la posizione del solo assistito in presenza di grave disabilità.
Insomma, nel caso di specie, la determinazione del riparto tra amministrazione ed utente delle quote del servizio di C.S.E. deve avvenire sulla base della situazione economica del solo assistito, a prescindere dal valore dell’I.S.E.E. familiare e da altri parametri non aderenti al criterio posto dall’art. 3, comma 2 ter, del d.l.vo 1998 n. 109.
Va, pertanto, ribadita la fondatezza del motivo in esame.
Di conseguenza, deve essere disposto l’annullamento sia delle note del Responsabile del servizio socio culturale del Comune di Oggiona con Santo Stefano n. 3673 del 15.04.2008 e n. 8633 del 02.10.2008, sia del regolamento approvato con D.C.C. n. 35 del 25.11.2003, nonché della delibera della Giunta Comunale n. 44 del 09.04.2008, nella parte in cui non fanno applicazione del criterio della evidenziazione della situazione economica del solo assistito che versi in condizione di grave disabilità, ai fini della determinazione della quota di costo posta a carico del disabile medesimo per la fruizione del servizio di inserimento in C.S.E..
5) La natura sostanziale della censura esaminata al punto sub 4 della motivazione consente di ritenere assorbite le ulteriori doglianze articolate nel ricorso.
In particolare, una volta chiarito che l’amministrazione dovrà rideterminarsi sulla base del criterio della situazione economica del solo assistito e non in applicazione del parametro dell’I.S.E.E. familiare, è evidente che è solo in sede di concreta applicazione di siffatto criterio che l’amministrazione potrà tenere conto di eventuali pensioni di invalidità ed indennità di accompagnamento percepite dal disabile, in ogni caso garantendo, in capo all’utente, la conservazione di un importo pari al 50% del reddito minimo di inserimento, importo cui si riferisce l’art. 24, comma 1, lett. g), della l. n. 328/2000 (cfr. sul punto si vedano, tra le altre, T.A.R. Lombardia Milano, sez. III, ord. 19.06.2008 n. 926/08; T.A.R. Lombardia Milano, sez. III, ord. 09.01.2009 n. 581/09).
In definitiva, il ricorso è parzialmente fondato e merita accoglimento nei limiti dianzi esposti.
La particolare complessità, sul piano fattuale e giuridico, della controversia in esame consente di ravvisare giusti motivi per compensare tra le parti le spese della lite.
Resta fermo l’onere di cui all’art. 13 del d.p.r. 30.05.2002 n. 115, nel testo integrato dal comma 6 bis dell’art. 21 del d.l. 223 del 2006, come modificato dalla legge di conversione n. 248 del 2006, a carico della parte soccombente.
P.Q.M.
Il T.A.R. Lombardia Milano, terza sezione, definitivamente pronunciando:
1) Dichiara il difetto di legittimazione dell’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali e per l’effetto ne dispone l’estromissione dal processo;
2) Accoglie in parte il ricorso e per l’effetto annulla, nei limiti di quanto esposto in motivazione:
– la nota del Responsabile del servizio socio culturale del Comune di Oggiona con Santo Stefano n. 8633 del 02.10.2008;
– la nota del Responsabile del servizio socio culturale del Comune di Oggiona con Santo Stefano n. 3673 del 15.04.2008;
– la Delibera del Consiglio Comunale del Comune di Oggiona con Santo Stefano n. 35 del 25.11.2003;
– la Delibera della Giunta Comunale del Comune di Oggiona con Santo Stefano n. 44 del 09.04.2008;
3) Compensa integralmente tra le parti le spese della lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 21/01/2010 con l’intervento dei Magistrati:
Domenico Giordano, Presidente
Raffaello Gisondi, Referendario
Fabrizio Fornataro, Referendario, Estensore
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 14/05/2010
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